L’Azerbaigian e la lista nera dei giornalisti italiani. Il senso delle proporzioni


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(Simone Benazzo) – Io mi trovo ad avere l’amaro onore di essere il più giovane giornalista inserito in questa lista nera. Il mio articolo incriminato è stato pubblicato dalla rivista per cui scrivo, East Journal, che è, nella galassia informativa italiana, una piccola rivista di settore, formata e animata esclusivamente da volontari e dalla passione autentica che questi ultimi mettono in questo progetto. Come confermato dalla mail con cui vi scrivo, sono ancora uno studente e rappresento, all’interno di questa black list infame, un pesce piccolo – probabilmente il più piccolo – che non ha nome né fama comparabili agli altri con cui condivido questa lista. Questo dettaglio, a mio avvisto, rende questa vicenda ulteriormente inquietante. Come riassume il mio direttore, “se persino un giornale così piccolo e poco importante come il nostro viene preso di mira dalla censura azera, significa che dalle parti di Baku hanno perso il senso delle proporzioni. E quando si perde il senso della misura, la censura diventa paranoia, il divieto diventa psicosi, l’autocrazia diventa barbarie.”. A questo si aggiunge il fatto che il mio articolo, trattando di pulizia etnica effettuata dalle truppe armene, potrebbe benissimo fungere da rivendicazione azera. Il fatto che anche un giornalista imberbe, di un giornale di nicchia, per un articolo addirittura considerabile come filo-azero (eventualità che paradossalmente si è verificata), abbia ricevuto questo provvedimento indica la maniera indiscriminata con cui questo regime si relaziona al dissenso, beandosi dell’impunità internazionale che le proprie esportazioni energetiche gli consentono.

Nemmeno per finta

A questo si aggiunge il fatto che ho potuto confermare in prima persona come la motivazione di “aver violato il territorio azero senza visto” sia solo un paravento per colpire operatori dell’informazione della cultura e dell’informazione. Come potete leggere nel mio articolo, le foto mostrate sono di mia sorella. Mi trovavo infatti nel territorio del Nagorno-Karabakh, con regolare visto ottenuto dall’ambasciata che ha sede a Yerevan (ovvero l’unico modo per entrare nel paese, ndr), assieme alla mia famiglia. Nella prima comunicazione che ho ricevuto si menzionava dunque anche mia sorella, complice con me nella supposta violazione del territorio azero. L’ambasciata mostrava quindi di sapere che anche lei aveva commesso lo stesso reato che mi veniva imputato. Tuttavia nella lista Federica (fortunatamente) non c’è. Dubito si siano dimenticati. Avete già scritto voi i probabili motivi.

Una normalizzazione strisciante

Questo frangente mi ha spinto a documentarmi maggiormente riguardo all’Azerbaijian, andando oltre la lettura degli articoli pubblicati dal mio giornale e dalle testate specialistiche. Questa ricerca mi ha permesso di scoprire che l’ex presidente della mia provincia, Fiorello Provera, in qualità di euro-parlamentare, si era impegnato in una riprovevole e da me ignorata operazione di normalizzazione per presentare ad un pubblico per la maggioranza digiuno di cognizioni caucasiche, l’Azerbaijian come “l’esempio concreto di pacifica convivenza tra etnie e religioni diverse”. Approfondendo ho scoperto anche come l’euro-parlamentare eletto nella mia circoscrizione di voto si fosse impegnato anche in altre operazioni di restyling di paesi illiberali, come quella che ha avuto come oggetto le colonie israeliane di Shomron. Il realizzare che un politico che mi rappresenta si fosse speso, nella mia ignoranza, in questo tipo di azioni, mi ha dato una sberla, ricordandomi la necessità di monitorare le attività dei nostri rappresentanti, specie e soprattutto, quando riguardano realtà distanti dalle nostre, sulle quali la la loro posizione garantisce loro la possibilità di presentare interpretazioni faziose e parziali come verità storiche.

Ma le vittime non siamo noi

Il marchio di questa black list non è, evidentemente, uno stigma piacevole. Soprattutto per chi, come Simone, giornalista vero e proprio, viene continuamente attaccato dalla stampa azera. Ma noi non siamo eroi. Io ero in vacanza in un luogo inusuale e ho voluto raccontare una storia. Semplicemente. La nostra situazione è tale – per ora – da permetterci di prendere con ironia un rigurgito stalinista e kafkiano a cui noi non siamo più abituati. Se Baku può agire in questa maniera verso gli stranieri, io posso solo immaginare come debba essere la situazione per i cittadini azeri che non si piegano ad un regime che vede una famiglia ininterrottamente al potere dal 1993. Il mio piccolo, ma coriaceo giornale cerca di denunciare questa situazione di violenza immotivata e impunità in cui vivono i giornalisti azeri. Credo che sia a loro che debba andare la nostra solidarietà; è il loro di lavoro ad essere pericoloso; loro è la vita sprecata in carcere e/o nel terrore per aver deciso di parlare di qualcosa che, onestamente, va ben oltre il mio lirico reportage su Shoushi. Vorrei che questa occasione fosse un momento non per glorificare noi, ma per fare lobbying o perlomeno raccontare le storie di chi di questi autocrati con le tasche piene dei nostri soldi deve aver paura davvero.

 

APPROFONDIMENTI

L’Azerbaigian del dittatore Aliyev mette al bando 10 giornalisti italiani. La presa di posizione di Spondasud e Assadakah

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