Siria. I colloqui di Ginevra destinati a fallire per colpa di Turchia e Arabia Saudita


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(Alessandro Aramu) – Sono credibili i colloqui di Ginevra per la pace in Siria? Al di là del risultato che potranno generare, la prima risposta è no. Non sono credibili perchè questi sono i negoziati degli assenti e delle presenze ingombranti. Degli assenti, perchè i curdi non sono stati invitati a causa delle forti resistenze della Turchia, il membro della Nato sul quale ricadono pesanti responsabilità per l’avanzata dello Stato Islamico in Siria. Attraverso il confine di Ankara sono transitati armi e terroristi che hanno ingrossato le fila del più potente gruppo armato della storia del terrorismo internazionale. Da quel confine sono passati migliaia di camion con il petrolio che lo Stato Islamico ha estratto nei pozzi conquistati in Siria e Iraq, una quantità enorme di greggio venduta illegalmente alla Turchia con il diretto coinvolgimento del presidente Erdogan. Soltanto questo aspetto basterebbe a decretare il fallimento di un tavolo largamente contrario del governo di Damasco e dei suoi alleati.

E i curdi, che combattono lo Stato Islamico, non sono stati invitati perchè Erdogan li considera non tanto alleati di Assad (e infatti in alcune aree del paese combattono al fianco dei ribelli) ma un pericolo per la sicurezza nazionale visto che per la prima volta nella storia recente si affaccia l’ipotesi di uno stato curdo a cavallo tra Siria, Iraq e Turchia.  Inviatarli a Ginevra avrebbe significato, agli occhi di Ankara, legittimare un’entità statuale che non esiste e che la leadership turca non intende riconoscere. Per questo la rappresentanza del maggiore schieramento curdo siriano, l’Ypd, è ripartita, sebbene il suo sforzo militare contro i terroristi dello Stato Islamico sia riconosciuto dalla comunità internazionale che in questa occasione ha preferito tacere e accettare i diktat di Ankara.

L’altra presenza ingombrante è l’Arabia Saudita, nemica storica di Assad e del suo grande alleato sciita: l’Iran degli Ayatollah. A Ginevra più che il futuro della Siria sembra volersi imporre l’idea e l’ambizione di creare un nuovo ordine tra Vicino e Medio Oriente, con le due grandi potenze della regione chiamate a fronteggiarsi colpo su colpo. La Siria è solo un pezzo di un mosaico complicato che vede nel conflitto tra sciiti e sunniti solo un pezzo di questa intricata vicenda.

L’altra grande questione riguarda il futuro di Assad. Turchia e Arabia Saudita vorrebbero che il presidente siriano si facesse da parte subito. Più sfumata la posizione di Stati Uniti ed Europa che vorrebbero posticipare la sua uscita di scena soltanto dopo un periodo di transizione democratica. Queste posizioni si scontrano con quelle della Russia e dell’Iran, intransigenti, come ha ribadito anche di recente il presidente Rohuani, nell’affermare che solo il popolo siriano potrà decidere il futuro del suo presidente e che, in ogni caso, prima bisognerà estirpare dal paese il terrorismo che non è fatto solo da ISIS e al Qaeda.

La Russia, poi, sta rafforzando la sua presenza in Siria tanto che alcuni analisti considerano la zona di Latakia, roccaforte alawita sul Mediterraneo, l’ultima regione della sterminata federazione guidata da Mosca. L’uscita di scena di Assad, a differenza di ciò che sostengono i suoi oppositori internazionali, non farebbe che peggiorare la situazione, dando ai terroristi e ai gruppi armati jihadisti un vantaggio proprio nel momento in cui sul campo stanno subendo una cocente sconfitta militare.

La delegazione dell’opposizione all’estero, in questo caso con sede in Arabia Saudita, ha ribadito che la sua presenza al tavolo svizzero è condizionata al rispetto da parte del governo siriano delle decisioni umanitarie contenute nelle risoluzioni delle Nazioni Unite. Secondo il governo di Damasco si tratta di un pretesto perchè in realtà l’opposizione, una rappresentanza minoritaria del vasto campo anti Assad, non vuole in realtà la pace ma solo la caduta di Assad. Bashar al-Jaafari, capo della delegazione siriana ai colloqui di Ginevra, ha criticato il fatto che i nomi dei membri della delegazione in arrivo da Riyadh fossero sconosciuti, un segno di scarso rispetto e serietà. Alla fine si è saputo che il “capo negoziatore” dell’opposizione siriana sarà Mohammed Alloush, un ribelle islamista pro-saudita e membro dell’ufficio politico di un gruppo di ispirazione salafita che il governo Damasco considera terrorista.

Uno dei maggiori problemi della guerra siriana è stato districarsi all’interno di un’opposizione mai unitaria, fortemente litigiosa e scarsamemente rappresentativa del tessuto democratico che esiste in Siria. Un’opposizione animata da personaggi che hanno vissuto all’estero, spesso corrotti e arricchiti grazie agli imponenti finanziamenti di Arabia Saudita e Turchia. E’ evidente che un’opposizione così scarsamente credibile non può arrivare a Ginevra e imporre condizioni, anche perchè qualsiasi soluzione politica per la crisi in Siria non può essere raggiunta senza la presenza del Governo e di soggetti nazionali in grado di condurre processo di dialogo.

L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, è dunque chiamato ad assicurare che il processo politico sia inclusivo, come sancisce la risoluzione n.2254, senza precondizioni o interferenze straniere. Più che un sogno sembra una vera e propria utopia. L’opposizione siriana ha già messo le mani avanti, spalleggiata da Arabia Saudita e Turchia. Ecco perchè i colloqui svizzeri sono nati male e solo un grande miracolo diplomatico potrà trasformare il fallimento annunciato in una speranza per il popolo siriano.

 

IL TESTO COMPLETO DELLA RISOLUZIONE N.2254

 

Twitter@AleAramu

Alessandro Aramu (1970). Giornalista professionista. Laureato in giurisprudenza è direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria(Arkadia Editore 2014). E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. E’ responsabile delle relazioni internazionali della Federazione Assadakah Italia  – Centro Italo Arabo  e Presidente del Coordinamento nazionale per la pace in Siria.

 

 

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