La rivelazione della “ferita-coloniale” e la figura mitica del Libertador


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(Maddalena Celano) – L’America Latina, rispetto all’America anglosassone, è un’America india, un’America meticcia. La valutazione della popolazione mondiale al momento della Conquista, necessariamente vaghe e ipotetiche, variano tra i 20 e i 40 milioni.[1] Se tali valutazioni sono esatte, l’incontro dei due mondi ha provocato un immenso sfacelo della popolazione india, poiché, nonostante l’ apporto di sangue europeo e del sangue nero immesso nel paese dalla tratta degli schiavi, la popolazione dell’ America Spagnola può essere valutata, nel 1800, a 15 milioni, e quella del Brasile, nella stessa epoca, a 3.300.000. Per il periodo coloniale anteriore alla fine del XVIII secolo, qualsiasi tentativo di valutazione è inevitabilmente approssimativo.

Al vertice della scala sociale si trovano gli spagnoli nati nella metropoli, in numero di trecentomila circa nel 1800, che controllavano l’amministrazione del paese. I creoli puri (criollos), anche loro tre milioni circa, possedevano le grandi haciendas e fornivano al paese la sua élite intellettuale: la grande realtà economica e sociale delle Indie. Al  di sotto dei creoli, la massa dei sanguemisti (mestizos): meticci di bianchi e di indios; mulatos, meticci di bianchi e di afrodiscendenti; zambos, meticci di indigeni americani con afrodiscendenti. Un mondo di artigiani, di mayordomos, di vagabondi, un mondo intermedio, turbolento, instabile, agitato, pronto ad avanzare rivendicazioni, il quale aspirava, senza riuscire a cancellare la macchia della propria nascita, ad affiancarsi ai creoli nella gerarchia sociale. Più giù, i dieci milioni di indios, utilizzati come bestiame  al quale si attingeva per i lavori dei campi e delle miniere.

Il lavoro forzato fu teoricamente abolito nel XVIII secolo, ma la schiavitù per debiti lo sostituì in qualche modo: in pratica venne bandito solo il nome. Ancora più in basso, nella scala sociale, si trovavano gli schiavi neri, prodotto dalla tratta; in numero di ottocentomila nelle Indie spagnole, localizzati soprattutto nelle grandi piantagioni di canna da zucchero delle Antille, si trovavano anche nelle miniere (in piccolissimo numero, per la verità), e un po’ dappertutto nei porti, come schiavi domestici. Per sopperire alla mancanza della mano d’opera india, gli spagnoli fecero ricorso, fin dal XVI secolo, alla mano d’opera africana. Alcune anime sensibili alla miseria degli indios, come Bartolomeo de Las Casas, proposero il rimedio che altri hanno sfruttato: la tratta. Gli spagnoli hanno sempre mostrato una grande ripugnanza per questo genere di traffico. Così la corona stipulava un contratto (asiento) con una compagnia straniera che, previo versamento di una forte somma, si impegnava ad assicurare la fornitura di schiavi negri delle Indie spagnole. Il primo asiento venne concluso nel 1517 con una compagnia genovese; portoghesi, olandesi, inglesi hanno tratto vantaggio uno dopo l’ altro dal prezioso traffico[2].

Da una parte bisogna dire che il carattere inizialmente progressista del meticciato, come la tradizione egualitaria di origine caraibica, ancora persiste in qualche modo, ma è stata inizialmente frustrata, almeno per molti secoli. Come sopravvivere a un elemento di resistenza culturale e politica all’interno della dialettica di dominio e di desiderio di libertà?

Uguaglianza e libertà sono inseparabili nella lotta dei popoli latino-americani. L’incrocio di razze, però, ha anche il suo volto razzista, etnocentrico e classista, e, naturalmente, anche la sua dimensione sessista e colonialista:

Il meticciato latino-americano nasconde un volto etnocentrico, il meticciato biologico servì a coprire un presunto “matrimonio misto culturale con l’Occidente”, perciò si occultò la sopravvivenza etnica indiana e nera al di là del meticciato: il processo di indipendenza si presentò come l’opera esclusiva di ” bianchi”, se viene visualizzato il protagonismo di un nero indiano o indio, si percepì come qualcosa di accidentale e secondario. Per il suo volto classista, il meticciato fu utilizzato per il dominio delle caste creole nel paese e nel continente, inghiottendo e dissimulando la colonizzazione nella sottomissione socio-culturale delle classi antagoniste (contadini ed artigiani). Inoltre il meticciato biologico fondò un modello d’insediamento basato sulla “vergogna della madre”. La maggior parte dei meticci, per secoli (almeno per 4 secoli), furono il prodotto di relazioni clandestine o di stupri tra i proprietari terrieri e le loro schiave o le loro domestiche. Spesso i proprietari terrieri riconoscevano i figli nati da queste relazioni adulterine, ma venivano, comunque, considerati figli di “serie B”, e le loro madri “sgualdrine”.

Lo sciovinismo e la xenofobia del colonizzatore che aspira a prolungare i suoi confini oltre i territori legittimi e l’intolleranza verso il dominato, utilizzano molteplici forme di svalutazione e di dominio per poter usufruire di manodopera a basso costo e servizi gratuiti di trans-nazionalizzazione capitalista. Il nativo viene così convinto a spostarsi ed allontanarsi dal suo territorio (nasce una forma di xenofobia invertita).

In risposta alle forme manifeste di discriminazione razzista possiamo affermare che esiste: il Razzismo e l’ endo-razzismo

  • a) Il Razzismo è esterno al gruppo, viene imposto inizialmente dall’esterno. Mentre l’endo-razzismo si esprime come interiorizzazione del razzismo, accettando l’ abnegazione verso una classe o un gruppo considerato superiore, quando i colonizzati si identificano con il punto di vista del colonizzatore.
  • b) L’endo-colonialismo può essere espresso in tre modi molto specifici, dando a ciascuna di esse una complessa dialettica del processo di dominio:

Come riconoscere l’ endo-razzismo, le caratteristiche principali:

  • La vergogna razziale: il rifiuto del proprio corpo, il colore della pelle, la forma dei capelli, della bocca o del naso, tenendo sempre in mente il modello razziale del colonizzatore.
  • Il rifiuto del proprio gruppo sociale e culturale: la vergogna etnica.
  • La vergogna culturale: rifiuto della cultura di appartenenza, il rifiuto della lingua madre del gruppo d’origine per beneficiare della cultura dominante, tentando di negare come illusoria, la propria cultura a livello mondiale.
  • Provare vergogna per la Madre-nativa, la madre india, è la rappresentante della cultura nativa. La madre india, viene espulsa della cultura dominante e considerata pura fattrice e schiava.

Il razzismo è sempre legato a un processo apparentemente complesso di dominazione storica globale. Gestire aspetti parziali all’interno di questo tipo di discriminazione, senza un approccio globale e specifico, porta esclusivamente ad una riproduzione inversa.

La vergogna etnica è l’altra faccia della medaglia dell’etnocentrismo del conquistatore. La sua proiezione nel colonizzato. La vergogna nazionale è di solito legata alla vergogna etnica. Così grave e deturpante è il sentimento sciovinista e xenofobo come la sensazione di vergogna nazionale e continentale. Il comune denominatore di entrambi è l’insicurezza in se stessi: o come individuo, come gruppo umano, come paese o continente. Entrambi: l’endo-razzismo, la vergogna etnica e la vergogna nazionale o continentale sono come l’ombra proiettata sui nativi, la negazione della loro personalità storica e nazionale. (2. fine)

 

 

[1] La valutazione più alta, di 40 milioni, è quella del Dr. Rivet. Alla luce dei lavori realizzati nell’ ultimo decennio dall’ ammirevole équipe di storici, etnologi e demografi di Berkeley, l’ alta valutazione del dr. Rivet sembra abbastanza vicina alla realtà.

[2] La tratta dei neri è stata una delle grandi fonti di reddito dei tempi moderni. La Nuova Inghilterra le deve i suoi primi capitali. I clippers dei puritani negrieri partivano carichi di rum, di qualche cassa di cianfrusaglie, di tessuti grezzi, in direzione delle coste dell’Africa, dove era caricato il “legno d’ebano”. S’imbarcava il maggior numero possibile di neri, senza timore di deteriorare la merce che nella partenza non aveva quasi valore. Si vendeva il “legno d’ebano” che “ce l’ aveva fatta” durante la traversata, come erano soliti dire i valenti di Nantes (le perdite andavano dal 40% al 50%) approdando alle Antille, o più spesso ancora sulle coste brasiliane, dove veniva caricata la melassa, materia prima del rum. Così era organizzato il commercio triangolare, per il massimo profitto del vertice del triangolo (fosse questo Lisbona oppure Amsterdam o Londra  o Nantes o Boston, a seconda dei secoli).

 

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