L’Azerbaigian rompe la tregua in Nagorno Karabakh: uccisi tre soldati armeni in meno di 24 ore


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Il cessate il fuoco sancito martedì scorso tra azeri e armeni in Nagorno-Karabakh, regione contesa del sud Caucaso, è stato violato dall’esercito di Baku. Dopo l’uccisione di due soldati armeni nella regione di Karvachar (Suren Aramyan e Grigor Avetisyan), nella notte un altro armeno (Armen Gasparyan)  è rimasto vittima del fuoco azero vicino al villaggio di Talish, non lontano dal luogo del massacro della famiglia Khalapyan. Anche il ministero della difesa della Repubblica del Nagorno-Karabakh ha denunciato numerose violazioni da parte dell’esercito dell’Azerbaigian.

La comunità internazionale preme per il rispetto dei patti, cercando di mantenere una posizioni equidistante e non ha ancora condannato in modo fermo i crimini commessi dai militari azeri, ampiamente documentati dai vari organi di stampa armeni e internazionali. La tregua potrebbe essere garantita con l’arrivo degli osservatori dell’OCSE, che nel 1992 ha dato vita al cosiddetto Gruppo di Minsk, una struttura di lavoro creata allo scopo di incoraggiare una soluzione pacifica e negoziata dopo la guerra del Nagorno-Karabakh.

Gli osservatori dell’OCSE – come ha ricordato di recente Marco Di Liddo, analista del Centro studi internazionali – sono però poco graditi dall’Azerbaigian perché sostiene che il gruppo di Minsk sia eccessivamente pro-armeno, “in quanto i Paesi che lo co-presiedono – cioè Russa, Francia e Stati Uniti – hanno al loro interno delle grandi diaspore armene, che quindi permettono loro di fare lobby politica”.

Il presidente armeno Sargsyan continua a rivendicare il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del Nagorno Karabakh, sostenuto dalla Russia. Le autorità di Erevan parlano di attacchi contro la popolazione civile e mostrano le prove dei crimini commessi dalle truppe azere.Le uccisioni, eseguite dalle truppe dell’Azerbaijan sono infatti una grave violazione del diritto internazionale e della Convenzione di Ginevra sul trattamento dei civili in zone di guerra.

Le modalità crudeli con cui sono avvenute spingono a dare credito alle allarmanti notizie riguardanti l’arrivo in Azerbaijan di combattenti azeri dell’Isis, fuggiti dalla Siria via Turchia. “Gli azeri” secondo un’analista occidentale che ha scelto l’anonimato “non hanno fatto differenza tra soldati e civili”.

La Turchia di Erdogan soffia sul conflitto, anche in posizione anti russa, sostenendo in pieno la rivendicazione azera di rientrare in possesso di una regione che considera il proprio territorio. L’Armenia – pur non riconoscendo ufficialmente il Nagorno-Karabakh per ragioni di buon senso diplomatico – spinge affinché il Nagorno-Karabakh possa ricongiungersi con la madre patria e non accetta la sua autonomia all’interno dell’Azerbaigian perché la popolazione cristiana e armena finirebbe per essere perseguitata.

Il presidente azero continua a parlare di provocazione da parte degli armeni, mentre il nuovo ambasciatore azero in Italia, Mammad Ahmadzada, ha chiesto alle autorità del nostro paese di esprimere “una dura condanna all’Armenia per la sua aggressione continua contro l’Azerbaigian, spingendola a compiere quanto richiesto dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”.

Una posizione che stride con la realtà dei fatti. L’Azerbaigian in questi ultimi anni, dopo la sconfitta con l’Armenia nel 1994, ha ricostituito completamente l’apparato militare  non certo in funzione difensiva. Si pensi che il 3.8% del suo PIL nel 2014 è stato destinato proprio a rinforzare il suo arsenale. La questione del Nagorno Karabakh è quindi qualcosa di più di una semplice guerra: dietro il conflitto si cela infatti il senso di rivalsa e vendetta che da anni cova all’interno dell’élite di potere di Baku.

 

 

 

 

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