Donne e bolivarismo in Venezuela: 1999-2009, un decennio di cambiamenti significativi


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(Maddalena Celano) – In Venezuela, a partire dal 1999, dopo un letargo che sembrava senza speranza, i processi “politici” si trovarono al centro della vita del paese e nuovi spazi sociali furono creati e liberarono una gran quantità d’ energia.  L’origine di questo processo risiede nelle iniziative e nelle mobilitazioni che si svilupparono a partire dalla seconda metà del 1999, nel quadro delle convocazioni della Costituente. L’ obbiettivo fu indirizzare le nuove generazioni ai diritti contenuti nei trattati e nelle convenzioni internazionali. In questo contesto, la Costituzione Bolivariana elaborò delle clausole che aboliscono il linguaggio sessista, che visibilizza le donne e che favoriscono la creazione di un immaginario di genere nel paese.Le donne furono il motore del processo di cambiamento, si mobilitarono in difesa del governo  per aprire spazi di incontro e di dialogo. Le donne furono quindi attrici di primo piano in questo processo, in strada, nella governance e in tutte le iniziative, e le questioni di uguaglianza di genere, raggiunsero una maggiore visibilità nel discorso pubblico.

Quindi, un primo elemento da evidenziare è che in dieci anni la politica è stata femminilizzata e rinnovata, affermazione che implica una maggiore presenza delle donne nelle diverse aree sociali e politiche. Potremmo  anche dire che i problemi di esclusione sociale, che colpiscono prevalentemente le donne provenienti da aree povere divennere il centro del discorso governativo, ciò offrì “legittimità” alle politiche pubbliche di integrazione a favore delle donne, si svilupparono nuovi strumenti per dar seguito al rilevamento di ingiustizie, come ad esempio bilanci pubblici e statistiche inerenti la diseguaglianza di genere. Vi fu, in questo periodo, un rilevante progresso nel riconoscimento dei diritti di uguaglianza e parità di genere, in particolare per quanto riguarda il diritto delle donne a vivere una vita libera dalla violenza, i diritti economici e qualche progresso nella creazione di condizioni che modifichino i ruoli di genere tradizionali e le responsabilità familiari.

Per quanto riguarda le dinamiche delle organizzazioni femministe che si sono riunite intorno a specifici interessi di genere, articolando alleanze con donne che operano in ambito governativo, si potrebbe dire che sono state conseguite valide rivendicazioni storiche, nonostante le differenze profonde in ambito sociale ed ideologico. Le donne si costituirono in un movimento autonomo e, coloro che si sono impegnate nel processo, concepirono le loro azioni nel contesto della mobilitazione popolare generale a sostegno della “rivoluzione bolivariana”. Questo aspetto è sorprendente e si spiega nel percorso condiviso dalle principali protagoniste che, durante gli anni del bipartitismo crearono un’istanza di governo per affrontare i problemi, collaborando con vari responsabili delle azioni governative anti-discriminazione, nonostante le differenze di parte.

La prima mobilitazione

Una prima dimostrazione di unità fu una mobilitazione congiunta  avvenuta quando il Segretario della Presidenza della Repubblica (posto occupato da un comunicatore sociale) cercò di eliminare il Consiglio nazionale delle donne (CONAMU). Questa decisione trovò la mobilitazione rapida ed efficace delle donne in tutti i settori. Le donne allora ottennero la creazione dell’Istituto Nazionale per le donne (Inamujer, 1999)  e unitariamente proposero Maria Leon, una sindacalista ed economista nonchè nota femminista, come il suo presidente.  Questa mobilitazione congiunta di donne portò alla proposta di una nuova legge sulla violenza di genere, per il cui sviluppo e approvazione, ha lavorato la presidente dell’ Inamujer, il Garante nazionale per i diritti delle donne, le parlamentari della Commissione sulla Famiglia, donne e giovani, rappresentanti di ONG e accademici. Fondamenta delle azioni sociali e civili a favore dell’ inclusione femminle fu la  nuova Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela finalizzata a  stabilire una “società democratica, partecipativa e protagonista, società multietnica e multiculturale”, come uno spazio per la realizzazione personale e collettiva, garantendo il diritto alla giustizia sociale e all’ uguaglianza senza discriminazione o subordinazione. La Costituzione stabilisce che è necessario garantire la parità e incoraggiare la partecipazione attiva di tutte e di tutti in modo efficace. La Costituzione è attraversata dal genere e comprende le donne dal punto di vista dei diritti umani, e si stabilisce che “abbiamo il diritto ad avere diritti”. L’ ex presidente del Venezuela, Hugo Chávez, assunse chiaramente la lotta per la liberazione della donna come inseparabile dalla lotta di classe.

La storia ha dimostrato, non solo all’ interno dei “classici” della teoria rivoluzionaria, ma soprattutto nella pratica, che la partecipazione e il ruolo decisivo delle donne nei processi storici sia essenziale per determinare il grado di progresso o di regressione di una civiltà. Basti ricordare, per esempio, la situazione delle donne durante il nazi-fascismo, dove l’ imposizione di determinati ruoli “tradizionali”, come la chiara avversione al femminismo e l’esaltazione del “femminile sottomesso”, abbia ri-prodotto, nel giro di pochi anni, delle nazioni funestate (mi riferisco a Francia e Germania) da profondi ritardi culturali, sociali e scientifici (la scienza era avanzata ma subordinata allo stato ed alle sue esigenze, la libertà di ricerca imbavagliata). Soltanto nel dopo-guerra, con il lento ma progressivo rientro delle donne nelle attività politiche ed economiche  dei rispettivi paesi, si conobbe un notevole sviluppo economico e sociale delle rispettive nazioni.

Un altro caso che dovrà farci riflettere, fu la situazione delle donne in Unione Sovietica. Quantunque i maggiori progressi in materia si siano registrati nella nascente URSS sotto la direzione di V. Lenin, questi progressi successivamente vennero contrastati e limitati. Dagli anni ’70 in poi cominciò un processo involutivo che ritrovò la sua massima espressione nella Perestrojka, dove Gorbaciov affermò addirittura che le deficienze morali, culturali e di produzione deriverebbero dalla pretesa di equiparare uomini e donne in tutti i loro aspetti. Perciò, secondo lui, le donne dovrebbero ritornare alle attività “puramente femminili”.

Inutile evidenziare che durante e subito dopo la Perestrojka l’ economia e la società russa regredì pericolosamente in tutti gli aspetti del vivere sociale e civile. Fino ad inondare, tra gli anni ’90 ed  il primo decennio del 2000, l’ intera Europa e gli Stati Uniti di “colf” e prostitute russe a tariffe piuttosto “competitive”.

 

 

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