La Primavera Araba in Egitto, Morsi e il golpe del 3 Luglio (parte prima)


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di Antonio Perra

Quando il 17 Dicembre 2010 un venditore ambulante di nome Mohamed Bouazizi si immolo’ in un disperato atto di protesta contro il regime Tunisino, in pochi avrebbero creduto che si sarebbe innescato un processo destinato a stravolgere il panorama politico del Vicino Oriente . La Primavera Araba, un termine coniato in riferimento alle proteste di Praga nel 1968, e ancor prima a quelle in Europa del XIX secolo, ha in effetti trasformato la regione quando centinaia di migliaia di persone hanno preso le piazze esigendo un cambiamento democratico in Libia, Tunisia, Egitto, Siria, e Yemen. Il famoso slogan, “Siamo Tutti Bouazizi”,[i] ha poi aggiunto quell’elemento di solidarita’ tra popoli che per decenni sono stati soggiogati da piu’ o meno brutali dittature, incidentalmente catturando l’attenzione di politici, accademici, e media occidentali, impressionati dalla presunta transizione democratica della regione. Obama stesso, durante una conferenza alla Casa Bianca nel Maggio 2011, dichiaro’: “La politica degli Stati Uniti sara’ quella di promuovere riforme nella regione e supportarne la transizione democratica”,[ii] una formula ripetuta da paesi come l’Inghilterra, la Francia e la Germania.

La Primavera Araba fu’ immediatamente affiancata alle problematiche condizioni socio-economiche del mondo Arabo, e spiegata alla luce della discrepanza tra aspettative e progresso effettivo. Infatti, anche se nel 2011 il Dipartimento di Stato Statunitense riporto’ segni positivi dopo la riforma economica in Egitto attuata a partire dal 2005 dall’allora Presidente Hosni Mubarak, come ad esempio l’aggiustamento delle tariffe e la rivitalizzazione delle imprese private,[iii] la popolazione rimase escluso dal processo. E’ vero che il PIL dell’Egitto crebbe del 7% tra il 2005 e il 2008, ma le promesse di una “vita migliore” disseminate durante la campagna elettorale di Mubarak non vennero rispettate: il miglioramento economico dell’Egitto avvenne solo nel senso generale del termine,[iv] e il cittadino medio continuo’ a vivere con circa due dollari Statunitensi al giorno,[v] un problema che si accosto’ velocemente a quelli della corruzione, della paralisi dei settori non petroliferi, dell’iniqua distribuzione della ricchezza, e dell’enorme tasso di disoccupazione.[vi] Quando poi esplose la crisi economica globale, causando una netta riduzione nell’esportazione di prodotti agricoli e di manifattura nel 2009, il crollo di regimi longevi come quello di Mubarak (1981-2011), Bel Ali in Tunisia (1987-2011) e Gaddafi in Libia (1961-2011) divenne inevitabile.

Oggi, tuttavia, le speranze per un Vicino Oriente democratico sembrano essere svanite, o quantomeno rimosse dalle menti di coloro che pensavano la Primavera Araba avrebbe davvero portato quella democrazia tanto ambita dalle popolazioni di questi Paesi. I drammatici eventi che hanno seguito la Primavera di Damasco, la rivolta contro il Presidente Siriano Bashar al-Assad, non hanno solo destabilizzato la regione e l’equilibrio politico internazionale, ma hanno anche paradossalmente rinforzato la centralita’ di coloro che hanno approfittato del vuoto di potere creato dalla caduta di questi leader. Infatti, mentre la comunita’ mondiale e’ impegnata ad affrontare la minaccia dell’ISIS e le ambizioni della Russia, l’idea di democrazia nel Vicino Oriente  non solo occupa l’ultimo posto nelle agende politiche dei nuovi leader Arabi, ma e’ anche precipitata pericolosamente sotto il radar della comunita’ internazionale.

Il caso dell’Egitto e’ emblematico per analizzare questo fenomeno, in quanto racchiude da un lato l’instabilita’ politica che ha seguito la caduta di Mubarak, e dall’altro le nuove esigenze geopolitiche legate alla questione dell’ISIS. Infatti, mentre paesi come la Siria e la Libia sono ancora sotto la pressione di violenti guerre civili che permettono ad organizzazioni terroristiche di fiorire, l’Egitto e’ stato riportato ad una fase di pre-rivoluzione quando il generale Fattah el-Sisi ha preso il potere supportato dalle potenze occidentali e contemporaneamente ha annientato l’opposizione politica e instaurato una nuova dittatura. Tragicamente, la guerra contro l’ISIS non solo consolida il potere del nuovo dittatore, ma cancella le speranze ed ambizioni di Tahir Square, la piazza del Cairo dove la rivolta ebbe inizio. Infatti, la situazione attuale in Egitto e’ “semplicemente” il risultato della coincidenza tra la presa di potere di el-Sisi e gli sviluppi della guerra in Siria, una situazione che ha lasciato gli Stati Uniti incapaci di trovare un equilibrio tra il loro ruolo di promotori di democrazia e piu’ ampie esigenze geopolitiche.

Washington ha supportato Hosni Mubarak dal 1981, quando l’allora presidente Anwar al-Sadat venne assassinato, nonostante il suo regime fosse, per dirla con Elizabeth Dickinson, uno “stato di polizia da manuale”.[vii] Vari presidenti Statunitensi hanno beneficiato dalle buone relazioni tra Egitto e Occidente durante la presidenza Mubarak, un leader addirittura considerato da George W. Bush “forte, coinvolgente ed intrigante”.[viii] Infatti, tre caratteristiche del regime Mubarak lo hanno reso un importante alleato per gli obbiettivi Statunitensi nella regione. Primo, per il supporto logistico e materiale offerto dall’Egitto in occasione della Guerra del Golfo contro l’Iraq nel 1991, o dopo ancora la battaglia di Bush contro il terrorismo islamico dopo gli attacchi del Settembre 2001. Ancora piu’ importante fu’ il supporto di Mubarak per gli accordi di Camp David, che garanti’ la pace tra Egitto ed Israele permettendo inoltre agli Stati Uniti di “usufruire di accesso prioritario al Canale di Suez e allo spazio aereo Egiziano”,[ix] come evidenziato da un documento segreto rilasciato da Wikileaks. Secondo, perche’ Mubarak inizio’ un processo di liberalizzazione economica che, abbandonando il periodo dell’economia centralizzata e autoritaria di Gamal A. Nasser, incoraggio’ investimenti domestici e stranieri nel settore privato (incidentalmente causando anche enormi disparita’ nella distribuzione della ricchezza). Terzo, perche’ la presenza di un leader insindacabile come Mubarak permise al governo Egiziano di tenere sotto controllo i Fratelli Musulmani, essenzialmente elimindandone la presenza dalla sfera politica, per la gioia degli Stati Uniti, notoriamente spaventati da partiti politici Islamici. Ovviamente, l’aiuto dell’Egitto non era gratutito. Dal 1979, gli Stati Uniti hanno pagato in media due miliardi di dollari in assistenza economica e militare, un programma tuttavia interrotto nel Luglio 2013 in seguito al colpo di stato di el-Sisi e la sua brutale oppressione.

Data la relazione speciale tra Mubarak e Stati Uniti, gli eventi del 2011 che costrinsero il presidente Egiziano a dimettirsi misero la il governo Statunitense in una posizione difficile, forzandolo nel dilemma che tradizionalmente ha afflitto la sua politica estera nel Vicino Oriente : supportare la democrazia e la volonta’ delle persone, o garantire i propri interessi geostrategici. Infatti, il dibattito che segui’ gli eveni di Tahir Square, evidenzio’ proprio questa problematica. Mentre certi Repubblicani, come ad esempio McCain, accusarono l’amministrazione Obama di non promuovere la democrazia con la stessa veemenza del suo predecessore, altri come il Senatore Democratico Bill Nelson invitavano alla prudenza: “Mubarak deve andare, ma non senza una strategia di uscita che evitera’ di lasciare la porta aperta agli estremisti”. Tale posizione trovo’ riscontro anche nelle parole di Hilary Clinton, la quale sollecito’ “il progresso verso una transizione democratica anziche’ un cambio violento ed improvviso che potrebbe compromettere le aspirazioni del popolo”.[x] Il vuoto di potere creatosi dopo le dimissioni forzate di Mubarak costitui’ un problema grosso per l’amministrazione Obama, la quale aveva fatto del conflitto Arabo-Israeliano una priorita’ della sua agenda per il Vicino Oriente . Come spiegato prima, insieme alle garanzie di accesso al Canale di Suez e svariati accordi di mutua cooperazione, Mubarak aveva assicurato il rispetto degli accordi di Camp David, alleviando notevolmente le tensioni con Israele. E’ interessante notare che nel periodo dal 1970 al 2011, Israele taglio’ del 14% le spese per la difesa, un chiaro esempio dell’equilibrio politico raggiunto tra i due paesi.[xi] Dal 2011 tuttavia, il governo Israeliano lamento’ al Congresso Statunitense le sue preoccupazioni, spiegando che “le uniche persone in Egitto che sono devote alla pace sono le persone del circolo di Mubarak, e se il prossimo presidente non sara’ uno di loro, saremo in pericolo.” Non e’ una coincidenza che, una volta crollato Mubarak, il governo Israeliano si affretto’ a rinforzare le proprie difese lungo il confine con l’Egitto.[xii]

Tuttavia, mentre gli Stati Uniti ponderavano su quale potessere essere la strada migliore da intraprendere nell’Egitto post-Mubarak, il Consiglio Supremo delle Forze Armate Egiziano (CSFA) prese il potere, ponendosi come garante della transizione democratica e ribadendo in piu’ occasioni che non aveva aspirazioni governative. L’esplosione di violenza che segui’ la presa di potere del CSFA e che vide migliaia di persone prendere di nuovo le piazze chiedendo la fine del regime militare, trasformo’ la transizione democratica in Egitto in una “surreale collezione di paradossi e contraddizzioni”, come sottolineato da Khaled Elgindy.[xiii] Lo Human Rights Watch riporto’ che “sotto la leadership del CSFA, l’eccessivo uso della forza e le uccisioni extragiudiziali, le torture, gli attacchi contro manifestazioni pacifiche, e l’arresto arbitrario di bloggers e giornalisti, sono diventati comuni e illustrano quanto poco sia in realta’ cambiato”,[xiv] un quadro che spiego’ bene la situazione in Egitto sotto la leadership militare, e che divento’ ancora piu’ cupo quando membri del CSFA suggerirono di “buttare i protestatori nei forni di Hitler”.[xv] E’ significativo notare che l’amministrazione Obama rimase in silenzio durante questo periodo, e anzi garanti’ un pacchetto di aiuti militari di 1.3 miliardi di dollari. Nonostante le raccomandazioni che “un nuovo governo in Egitto deve essere dotato di poteri ed autorita’ effettive immediatamente”,[xvi] la posizione ambigua di Obama, anche se strategicamente comprensibile, trasformo’ gli Stati Uniti in un partner inaffidabile per la tanto attesa democrazia in Egitto.

Alla fine di Giugno del 2012 ebbero finalmente luogo le elezioni che portarono al potere, con una maggioranza di voti del 51.7%, i Fratelli Musulmani capitanati da Mohammed Morsi. L’evento fu ovviamente una doccia fredda per coloro che speravano che l’Egitto sarebbe diventato un paese laico e sullo stile delle democrazie occidentali. Durante la sua breve presidenza, Morsi attuo’ un agenda marcatamente Islamica, introducendo una Costituzione basata fortemente sulla Shari’a, dando la grazia a diversi jihadisti e, nel campo della politica estera, allontanandosi da Stati Uniti ed Europa e stringendo relazioni piu’ forti con Cina, Iran, Arabia Saudita e Hamas.[xvii] Ma questo era difficilmente una novita’. Gia’ durante la sua campagna elettorale, Morsi aveva dichiarato: “Il Corano era e continera’ ad essere la nostra costituzione… Il Profeta Maometto e’ il nostro leader, la jihad e’ il nostro cammino, e la morte in nome di Allah e la piu’ alta delle aspirazioni”.[xviii]

Nonostante i problemi che l’elezione di Morsi costitui’ per i piani Statunitensi nel Vicino Oriente , specialmente a riguardo degli accordi di Camp David e sulla sicurezza del Sinai, l’amministrazione Obama supporto’ il nuovo governo nella speranza di riguadagnare prestigio tra la popolazione Egiziana dopo il decennale supporto Statunitense della dittatura Mubarak. Tale esigenza divenne ancora piu’ forte quando, per via della posizione ambigua della Casa Bianca durante la prima ondata di proteste contro Mubarak, la popolazione Egiziana inizio’ ad esporre cartelli con la scritta “Vergognati Obama” accanto a quelli contro il dittatore.[xix] Cosi’, l’elezione di Morsi venne pubblicamente definita uno “storico traguardo” dalla Casa Bianca, ed immediatamente vennero attuate disposizioni per aiutare l’Egitto con i problemi economici e sociali. Obama stesso dichiaro’ che il nuovo governo sarebbe stato giudicato “dai fatti, non dalle parole”, chiedendo al Congresso di stanziare un fondo di 1.55 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2013.[xx]

 

L’autore

Antonio Perra è un Associate Lecturer nel Dipartimento di Politica della Birkbeck University of London, e un Visiting Research Fellow nel Dipartimento di Studi Medio Orientali al King’s College London. E’ autore del libro “Kennedy and the Middle East: the Cold War, Israel and Saudi Arabia” che sara’ pubblicato mondialmente da I.B. Tauris nel 2016, e di numerosi articoli di ricerca sulla Primavera Araba, il conflitto Israeliano-Palestinese, e la guerra in Siria.

 

 

[i] Rania Abouzeid, ‘Bouazizi, The Man Who Set Himself and Tunisia on Fire’, Time Magazine, January 21, 2011, accesso il 07.02.2016, http://content.time.com/time/magazine/article/0,9171,2044723,00.html

[ii] Remarks by the President on Middle East and North Africa, The White House, Office of Press Secretary, May 19, 2011, accesso il 07.02.2016, https://www.whitehouse.gov/the-pressoffice/ 2011/05/19/remarks-president-middle-east-and-north-africa

[iii] Jonathan Berr, ‘Hosni Mubarak Economic Achievements’, Daily Finance, February 10, 2011, accesso il 07.02.2016, http://www.dailyfinance.com/2011/02/10/hosni-mubaraks-economicachievements/

[iv] Ibidem.

[v] William Shaub, ‘The Roots of the Revolution in Egypt’, Arbitrage Magazine, accesso il

07.02.2016, http://www.arbitragemagazine.com/topics/international-affairs/middle-east/the-rootsof-revolution-in-egypt/?page=all

[vi] Stephen Glain, ‘Slow Death’, accesso il 07.02.201, http://www.stephenglain.com/slow-death.

[vii] “Anatomy of a Dictatorship: Honsi Mubarak”, Foreign Policy, February 4, 2011.

[viii]“Remarks by President Bush and Egyptian President Hosni Mubarak in photo opportunity”, The White House, Office of Press Secretary, April 2, 2002.

[ix] ‘WikiLeaks cables show close US relationship with Egyptian President’, The Guardian, January 28, 2011, accesso il 07.02.2016, http://www.theguardian.com/world/2011/jan/28/wikileaks-cairocables-egypt-president

[x] “U.S. navigates carefully between supporting Mubarak, democratic ideals”, CNN, February 1, 2011, accesso il 08.02.2016, http://edition.cnn.com/2011/POLITICS/01/31/us.egypt.response/.

[xi] Egypt: The January 25 Revolution and Implications for U.S. Foreign Policy”, 13.

[xii] Ibidem.

[xiii] Khaled Elgindy, ‘Egypt’s Troubled Transition: Elections without Democracy’, The Washington Quarterly, 2012, 92, accesso il 09.02.2016, http://csis.org/files/publication/twq12springelgindy.pdf.

[xiv] ‘Egypt: Dismantle Tools of Repression’, Human Right Watch, January 16, 2012, accesso il 09.02.2016, http://www.hrw.org/news/2012/01/16/egypt-dismantle-tools-repression

[xv] Al-Masri Al-Youm Staff, ‘SCAF adviser claims military entitled to fire on protesters’, Egypt Independent, December 22, 2011, accesso il 09.02.2016, http://www.egyptindependent.com/news/scaf-adviser-claims-military-entitled-fire-protesters.

[xvi] “Statement by the Press Secretary on Recent Developments in Egypt”, The White House, Office of the Press Secretary, November 25, 2011, accesso il 09.02.2016, https://www.whitehouse.gov/thepress-office/2011/11/25/statement-press-secretary-recent-developments-egypt

[xvii] Jannis Grimm and Stephan Roll, “Egyptian Foreign Policy under Mohamed Morsi: Domestic Considerations and Economic Constraints”, German Institute for International and Security Affairs, November 2012, 2.

[xviii] ‘Mohamed Morsi during Elections Campaign: Jihad Is Our Path, Death for the Sake of Allah Is Our Most Lofty Aspiration, the Shari’a Is Our Constitution’, Misr 25 TV (Egypt), May 13, 2012, accesso il 09.02.2016, http://www.memritv.org/clip/en/3476.htm.

[xix] “Obama blew it in Egypt – again”, The Washington Post, July 8, 2013, accesso il 10.02.2016,https://www.washingtonpost.com/opinions/marc-thiessen-obama-blew-it-in-egypt–again/2013/07/08/c0a394e8-e7c5-11e2-a301-ea5a8116d211_story.html

[xx] “Egypt: Background and U.S. Relations”, Congressional Research Service, September 13, 2012, accesso il 10.02.2016, http://fpc.state.gov/documents/organization/198051.pdf

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