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In Libano nuova prova di debolezza di Trump: accusa Hezbollah mentre Daesh minaccia Beirut


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di Francesco Gori

Una cellula dello Stato Islamico, con base a Beirut,  pronta a entrare in azione è stata individuata dalle forze di sicurezza libanesi. La cellula era composta da cinque persone che operavano nella zona di al Doura, a nord della capitale del Paese dei Cedri. Una delle persone fermate, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa kuwaitiana “Kuna”, era il coordinatore del gruppo e il reclutatore di giovani per conto del gruppo jihadista, il quale era in attesa di nuovi ordini da parte dello Stato islamico per eseguire i suoi piani. Si tratterebbe di cittadini siriani, di età compresa tra i 18 e i 25 anni, che avrebbero confessato di aver partecipato ai combattimenti nelle file dell’organizzazione jihadista in Siria. Gli uomini sarebbero arrivati in Libano alla fine del 2016 e sarebbero rimasti in contatto con i funzionari siriani del gruppo terroristico. Gli arrestati hanno inoltre ammesso di aver reclutato diversi libanesi.

L’altro fronte caldo è quello di Arsal, nella valle della Bekaa, al confine con la Siria, dove si sono intensificate le operazioni delle milizie sciite di Hezbollah, supportate dall’esercito di Damasco, contro i combattenti di Tahrir al Sham, ex Fronte al Nusra. Le operazioni hanno riguardato sua il lato siriano nella zona di Flita, sul Qalamun occidentale, sia il lato libanese sull’altipiano di Arsal, a maggioranza sunnita. L’esercito libanese, che ha schierato circa 4000 uomini per bonificare l’intera area, ha offerto sostegno logistico.

 

Il premier libanese Saad Hariri, annunciando un’imminente operazione militare sull’altopiano di Arsal, nei giorni scorsi aveva comunque escluso un coordinamento tra gli eserciti di Libano e Siria. Hezbollah ha sottolineato che “tutti i miliziani armati che si trovano ancora nell’area di Arsal verranno risparmiati se consegneranno le loro armi”. Negli ultimi anni nella zona intorno ad Arsal hanno trovato rifugio numerosi profughi siriani in fuga dalla guerra e con loro anche cellule terroristiche. L’area al confine tra i due paesi dal 2014 è teatro di scontri tra l’Esercito libanese e i gruppi jihadisti. In questi anni, molti combattenti delle zone siriane al confine con il Libano hanno usato l’area di Arsal come rifugio dopo che le forze di Assad e Hezbollah hanno conquistato la zona di Qusayr, nella provincia di Homs, a pochi chilometri dalla frontiera con il Paese dei Cedri.

Malgrado l’impegno contro il radicalismo islamico e il terrorismo, la forza dirompente e il consenso crescente del movimento sciita continuano a preoccupare il primo ministro libanese Saad Hariri, alleato degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita. L’esponente sunnita ha chiesto a Trump di limitare l’influenza di Hezbollah nella regione con l’obiettivo di frenare anche le ambizioni dell’Iran, storico partner del partito di Dio. La strategia appare rischiosa perché il pericolo terrorismo, come dimostra l’arresto di una cellula dello Stato Islamico a Beirut, è costante. Una strategia rischiosa quella di Hariri ma per certi versi obbligata visto che le sue concessioni a Hezbollah hanno indebolito la fiducia dell’elettorato sunnita.

Ad ogni modo, la risposta del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non si è fatta attendere e al termine dell’incontro con il premier libanese ha accusato l’organizzazione sciita libanese di rappresentare “una minaccia per lo Stato libanese, per il popolo libanese e per l’insieme della regione”. Parole forti che non hanno turbato più di tanto Hezbollah che da tempo considera gli Stati Uniti i migliori alleati del terrorismo di matrice wahabita in Medio Oriente.  Per la cronaca Trump ha persino detto che l’esercito libanese combatte contro Hezbollah. Un’affermazione che oltre ad essere falsa evidenzia l’assoluta impreparazione dell’attuale presidente degli Stati Uniti di fronte a uno scenario complesso come quello del Medio e Vicino Oriente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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