Siria, gli Stati Uniti consegnano i curdi alla Turchia. Russia e Iran blindano Assad


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(Alessandro Aramu) – Quasi 400.000 bambini siriani nati in Turchia dall’inizio del conflitto potrebbero ottenere presto la cittadinanza da parte di Ankara. Nel paese attualmente sono presenti oltre 3,5 milioni di rifugiati siriani, di questi hanno ottenuto la cittadinanza  36.000 adulti. Nelle ultime elezioni, circa 28.000 avevano il diritto di voto. Difficile capire quanti vorranno o potranno ritornare nel loro paese d’origine.

La notizia della possibile concessione della cittadinanza per nascita ha un risvolto politico e geopolitico molto forte perché si inserisce in una strategia complessa, e non sempre scontata, della Turchia in Siria.

Le autorità turche sanno bene che un processo di quasi assimilazione, mascherato da grande operazione umanitaria, possa rappresentare una mossa politica capace di portare molto denaro nelle casse di uno Stato che negli ultimi anni tra spese militari, lotta al terrorismo e sicurezza interna ed esterna ha speso come pochi a livello globale.

I rifugiati costano ma sono anche una grande opportunità economica per un paese che ha ricevuto ingenti somme di denaro per fronteggiare l’emergenza di una guerra che la Turchia ha alimentato fin dall’inizio tanto da diventare uno dei principali sponsor delle forze dell’opposizione armata, comprese quelle i matrice jihadista, a Bashar al Assad.

Da un accordo controverso tra la Turchia e l’Unione Europea nel marzo 2016, il numero di migranti, la maggior parte siriani, in viaggio verso il vecchio continente, in particolare la Grecia, dalla Turchia è diminuito in modo significativo.

La Turchia, peraltro, oggi si trova di fronte a una nuova sfida anche grazie alla decisione del presidente statunitense Donald Trump, peraltro solo annunciata via Twitter, di ritirare totalmente le truppe americane dal nord-est della Siria. I funzionari della Casa Bianca americani avrebbero iniziato a informare i partner dell’area del loro piano. La ragione sarebbe la presunta sconfitta militare dello Stato Islamico, unica ragione ad indurre Washington a mettere gli scarponi nel paese arabo.

L’abbandono degli Stati Uniti lascerebbe i curdi con le spalle scoperte e con il fiato sul collo di Erdogan che mal tollera questa espansione curda nel paese di Assad, soprattutto a ridosso dei propri confini. I curdi, dal canto loro, si sentono traditi dall’alleato americano, anche perché sono stati l’avanguardia sul campo di battaglia contro i miliziani dello Stato Islamico. Di questo avviso, del resto, sono i vertici del Dipartimento della Difesa che stanno cercando di convincere la Casa Bianca che una mossa del genere sarebbe un tradimento degli alleati curdi, le cui truppe rischierebbero di essere attaccate da un’offensiva della Turchia.

Perplessità anche dagli alleati di Trump, come la Francia e, sopratutto, Israele, preoccupati, in assenza di una soluzione politica, non tanto per un ulteriore rafforzamento di Assad, oramai sicuro vincitore del conflitto, ma per un consolidamento della posizione politico-militare di Russia e Iran, di fatto lasciate da sole, insieme alla Turchia, a decidere i futuri equilibri del paese.

Teheran e Mosca, alleate di Damasco, del resto hanno dato il via libera alla Turchia per allargare la zona di sicurezza nel nord della Siria, a spese proprio dei curdi. La contropartita è semplice: blindare il presidente Assad per il futuro, come unico leader riconosciuto in grado di guidare il paese anche nella ricca fase della ricostruzione.

 

 

Alessandro Aramu – Giornalista professionista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). Per il quotidiano La Stampa ha pubblicato il reportage “All’ombra del muro di Porta di Fatima”, mostrando per la prima volta in Italia la nuova barriera che ha diviso il Libano da IsraeleÈ coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014) con la prefazione di Alberto Negri. E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. Autore, insieme a Carlo Licheri, del docu -film “Storie di Migrantes” (2016), vincitore del premio speciale del pubblico all’ottava edizione dello Skepto International Film Festival. E’ Presidente del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria, responsabile delle relazioni internazionali del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo Onlus, Vice Presidente del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo della Sardegna.

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