Effetto Rouhani: Iran e Arabia Saudita riprendono il dialogo


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(Alessandro Aramu) – Iran e Arabia saudita sono più vicine. Dopo anni di forti tensioni, aggravate anche dalla crisi in Siria, la monarchia del Golfo apre alla storica rivale rivolgendo un invito ufficiale per una visita istituzionale nel paese. Un fatto importante che va nella direzione auspicata dal nuovo presidente iraniano, Hassan Rouhani. Nel corso della campagna elettorale, che lo ha portato al guida del paese, era stato proprio lui a invocare per primo il dialogo con un soggetto che ritiene fondamentale per la pace e la stabilità della regione.

“Negoziare e discutere” sono le la parole rivolte dal ministro degli Esteri saudita Saud al Faysal al ministro iraniano Mohammad Javad Zarif. Non è un fatto di poco conto se si considera che la monarchia sunnita si contrappone all’Iran sciita anche nell’interpretazione dell’Islam.

Riyad auspica che le divergenze con l’Iran siano ricomposte senza sacrificare gli interessi di nessuno. Quel che è certo è che i due paesi oggi sembrano avere di nuovo voglia di riallacciare relazioni che possono avere importanti ricadute anche sotto il profilo economico e commerciale. Per Teheran, stretta nella morsa delle sanzioni occidentali, i negoziati con l’Arabia saudita rappresentano una preziosa boccata d’ossigeno per un’economia in grande difficoltà. Il malcontento popolare è stato parzialmente smorzato dall’entusiasmo per l’elezione di Rouhani. Dopo le promesse elettorali e un anno di presidenza, il nuovo leader è chiamato alla prova dei fatti. Le promesse non bastano più. I poveri crescono, la disoccupazione anche e il valore della moneta nazionale si mantiene sui minimi storici. Dopo gli otto anni di presidenza del controverso Mahmud Ahmadinejad, sembra quindi essere giunta l’ora per porre fine all’isolamento.

L’ex-presidente Hashemi Rafsanjani, grande manovratore della politica iraniana e mentore di Rouhani, ha intessuto rapporti dietro le quinte con i sauditi: relazioni venute alla luce in un incontro con l’ambasciatore del Regno a Teheran, Abdur-Rahman bin Gharman al-Shahri, avvenuto a fine aprile. Rafsanjani si era appellato ad un’espansione dei rapporti bilaterali e l’ambasciatore, elogiando la politica estera regionale di Rouhani, aveva rinnovato un invito rivolto da re Abdullah al grande vecchio iraniano.

Riferendosi alla Siria, con Teheran storico alleato del presidente Bashar al Assad, il ministro saudita Faysal ha auspicato di vedere l’Iran associato agli sforzi per rendere la regione più sicura e prospera. Impensabile, Rouhani lo ha detto a chiare lettere, che l’Iran possa abbandonare Damasco, soprattutto oggi che sul piano militare il governo incassa giorno dopo giorni importanti vittorie. Sullo sfondo rimangono le elezioni presidenziali di giugno con il presidente siriano che rimane il grande favorito per la vittoria.

Resta dunque da capire in che cosa possa consistere la richiesta che i sauditi faranno all’Iran in merito a un conflitto che si trascina da più di tre anni, con milioni di profughi, decine di migliaia di morti e feriti. All’Arabia Saudita va dato il merito di aver compiuto un passo importante con la rimozione del principe Bandar Bin Sultan dalla guida dell’Intelligence del Regno: era l’architetto della politica saudita sulla Siria.

L’Arabia Saudita ospita al suo interno numerose cellule dormienti di Al Qaeda che rappresentano una costante minaccia per la sicurezza della monarchia. Riyad ha fatto importanti passi in avanti nella lotta contro l’estremismo islamico, sia con operazioni antiterrorismo e di polizia, sia attraverso lo strumento religioso. Con la fatwa del gran muftì è stato infatti vietato ai giovani di recarsi all’estero a condurre il jihad senza permesso. Anche in questo caso si tratta di una misura adottata per frenare la crescente ondata di terrorismo in Siria. In questa direzione va ascritta anche la decisione di decretare “organizzazione terroristica” il Fronte al Nusra e i combattenti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).

Misure che non hanno convinto i più scettici, per i quali la strategia adottata dall’Arabia Saudita è di facciata: per combattere la minaccia terrorista interna, a Riyad – sostengono gli osservatori più critici – non rimarrebbe che esportare il jihadismo nella regione, con il risultato di inasprire lo scontro religioso con gli sciiti soprattutto in Siria e in Iraq. Una destabilizzazione che i sauditi vorrebbero utilizzare a proprio vantaggio.

Insieme alla Siria, gli altri due punti di contrasto Riyad e Teheran sono il programma nucleare e i sospetti di aiuti del terrorismo in Sistan-Balucistam, nel sud-est dell’Iran. Tutti argomenti che saranno affrontati nel corso di una visita, se ci sarà, che potrebbe davvero cambiare le dinamiche geopolitiche in Medio Oriente.

 

Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014).
(twitter@AleAramu)

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