I profughi palestinesi siriani e il pericolo razzismo in Libano


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(Anna Maria Brancato) – Dal 2011, anno dello scoppio della guerra civile in Siria, a oggi i profughi palestinesi siriani nel vicino Libano sono diventati una vera emergenza. Stime dell’UNRWA, aggiornate al mese di aprile, parlano di circa 52.848 rifugiati provenienti dalla Siria in cerca di protezione nel Paese dei Cedri.

Le difficoltà nel gestire un’emergenza di tale portata per un paese come il Libano, che conta una popolazione di circa 4.227.597 di persone, emergono anche in atteggiamenti razzisti e di odio verso i siriani palestinesi. Alcune fonti giornalistiche hanno riportato la notizia secondo la quale in alcune zone non lontane dalla capitale Beirut sarebbero apparsi dei cartelli che impongono il coprifuoco per i cittadini siriani dalle 8 di sera fino alle 6 del mattino. Decisioni, queste, non nuove in Libano ma che dovrebbero essere prese dall’Alto Consiglio militare in situazioni di reale emergenza e non da amministrazioni locali, come invece spesso avviene.

Ancora più pericoloso è il comportamento delle istituzioni libanesi alla frontiera nord, che all’inizio di maggio hanno respinto un gran numero di profughi palestinesi provenienti dalla Siria, impedendo loro di superare la frontiera.

La denuncia arriva da Human Rights Watch, che invita le autorità libanesi a rivedere la propria politica che viola le norme di diritto internazionale in materia di asilo politico. Spesso i respingimenti avvengono senza un reale motivo oppure i palestinesi vengono fermati con l’accusa di possedere permessi non validi e rinchiusi nelle carceri con la sola opzione di essere rispediti in Siria.

I campi profughi in Libano –  Già prima dello scoppio del conflitto siriano, i profughi palestinesi presenti in Libano dovevano fare i conti con condizioni al limite della sopravvivenza. Per la maggior parte impossibilitati a ricrearsi una vita “normale”, sono costretti a vivere all’interno dei campi profughi creati per affrontare la prima ondata di rifugiati provenienti dalla Palestina occupata nel 1948.

I campi presentano delle carenze nei servizi fondamentali, come la fornitura di energia elettrica, di acqua e lo smaltimento dei rifiuti. Gli edifici sono instabili e costruiti senza nessun criterio minimo di sicurezza. Sviluppandosi in altezza uno accanto all’altro, inoltre, rappresentano un grosso pericolo e contribuiscono a mantenere l’ambiente umido e malsano.

Il numero ufficiale dei campi in Libano, secondo l’UNRWA, è fissato a 12. In realtà esistono delle aree non ufficiali chiamate gatherings e che, non essendo registrate, non ricevono nessun tipo di servizio, né da parte dell’UNRWA, né tantomeno dal governo.

Col passare del tempo, però, la situazione emergenziale si è trasformata in cronica e i campi sono diventati per le autorità libanesi lo strumento più facile per tentare di arginare e controllare l’emergenza profughi. Il tutto accompagnato da una legislazione ostile che fa appello al cosiddetto principio di reciprocità e tratta i palestinesi come cittadini di serie c, in quanto “non cittadini” di nessun altro stato riconosciuto. La recente ondata di immigrati palestinesi siriani, dunque, non fa che aggravare una situazione già tesa e precaria.

La società libanese probabilmente non si è mai totalmente ripresa dallo shock della guerra civile 1975/1990, che vide le tre maggiori confessioni religiose presenti nel paese (cristiana maronita, musulmana sunnita e musulmana sciita) agire brutalmente in nome di uno spirito etnico piuttosto che a favore di un sentimento unitario nazionale. A fare da sfondo, poi ,a un contesto sociale già abbastanza frammentato, nel ’75 come ai giorni nostri, era proprio la massiccia presenza di profughi palestinesi, riversatisi in Libano dopo la catastrofe del 1948, tant’è che in molti non esitano ad attribuire le colpe dello scoppio della guerra civile proprio alla crisi economico – sociale – politica provocata dalla presenza palestinese.

Razzismo e paura – Di conseguenza, è probabile che questi atteggiamenti razzisti siano dettati dalla paura che l’aumento della popolazione palestinese in Libano, in maggioranza sunnita, vada a modificare gli equilibri sociali in un paese già fortemente diviso, che non esegue un censimento ufficiale dal 1932. Quella siriana non è altro che l’ennesima Nakba che la popolazione palestinese vive ormai da 66 anni, alla ricerca di un posto in cui poter vivere civilmente, mai dimenticando che il diritto al ritorno in Palestina è sancito da risoluzioni internazionali e sta solo aspettando la sua reale attuazione.

 

Foto: campo profughi palestinese di Nahr al Bared a Tripoli in Libano. 

 

 

 

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