In Brasile il mondiale della vergogna, tra corruzione e sprechi


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(Stefano Levoni) – Nel paese della corruzione, della violenza e della povertà il mondiale di calcio toglie il sorriso ai brasiliani, sempre più preoccupati per le ingenti somme investite dallo Stato per una manifestazione che non porterà un briciolo di ricchezza ai milioni di cittadini che vivono in condizioni di estremo disagio. A mondiale finito, i 12 nuovi stadi costruiti grazie a finanziamenti pubblici saranno gestiti dai club o da compagnie private. Nel mirino è finito soprattutto lo stadio nazionale Manè Garrincha della capitale Brasilia, l’impianto più caro della Coppa. Inoltre molte infrastrutture non sono state terminate. Un esempio? L’alta velocità che doveva collegare Rio de Janeiro a Sao Paulo per un costo di 16 miliardi di dollari non è mai stata realizzata.

Dal 2007, da quando il Brasile si è assicurato i mondiali del 2014, “l’indice di gradimento” di questo evento è sceso dal 75 al 48 per cento, oggi meno della metà della popolazione pensa che sia stata una buona mossa ospitare i mondiali. Ai brasiliani appare assurdo che il governo abbia speso 11 miliardi di dollari e mezzo, di cui circa 3,6 miliardi provenienti dall’erario pubblico, per allestire i mondiali quando nel paese mancano i servizi sociali fondamentali.

Gli squilibri nel paese sono enormi e l’eredità lasciata dell’ex presidente Lula non basta più a soddisfare le richieste dei brasiliani. 40 milioni di persone sono uscite dalla povertà, i salari sono aumentati ma i problemi sono ancora quelli del terzo mondo. I pendolari impiegano tempi infiniti per raggiungere i posti di lavoro, gli ospedali sono insufficienti, le scuole pubbliche fatiscenti. Nelle metropoli l’aria è avvelenata dall’aumento esponenziale della motorizzazione. Nel 2007 il tasso di crescita era del 7,5 per cento, oggi l’economia fa i conti con una recessione quasi quinquennale.

Il Brasile è un’enorme pentola a pressione pronta a scoppiare. Il malcontento ha contagiato un po’ tutti. Le strade di Belo Horizonte, Brasilia, Manaus, Porto Alegre, Rio de Janeiro e San Paolo, tanto per citarne alcune, sono continuamente attraversate dalle proteste antigovernative. Gli scontri con la polizia, i feriti e gli arresti oramai non si contano più. Una triste quotidianità che ha cancellato il clima festoso della Coppa del Mondo. Clamorose, tra le altre, le proteste delle prostitute, dei lavoratori senzatetto e degli indios, che sono scesi in piazza per protestare contro un progetto di legge che prevede modifiche alle regole di demarcazione delle loro terre.

Non stupisce quindi che a pochi giorni dall’inizio della Coppa del Mondo un’altra clamorosa protesta abbia scosso il Brasile: dodici palloni da calcio giganti, simbolo di altrettante città brasiliane che ospiteranno il campionato, sono stati portati davanti al Parlamento di Brasilia in segno di protesta contro i costi di questo evento internazionale. Una protesta simbolica, senza le violenze e gli scontri di questi ultimi anni.

L’iniziativa è della ong “Rio dela Pace” che esige che la presidente Dilma Rousseff, probabile candidata alla rielezione, si impegni ad avviare lavori che giovino alla popolazione: “Vogliamo che le istituzioni pubbliche – ha detto il fondatore dell’organizzazione Antonio Carlos Costa – chiedano perdono alla nazione perché non hanno mantenuto le loro promesse: hanno speso una fortuna in denaro pubblico in settori non essenziali. Vogliamo degli obiettivi dal governo, vogliamo essere trattati come la Fifa per la costruzione degli stati; vogliamo sapere quanti ospedali e quante scuole saranno costruiti in quattro anni”.

Quando fu assegnata l’organizzazione del Mondiale, il Governo assicurò che solo il 10% della spesa sarebbe stata pubblica, mentre per il 90% sarebbe stata assicurata da privati. Le cose non sono andate così. Il pubblico ha investito quasi la totalità delle somme. La marcia di avvicinamento si è trasformata in una via crucis scandita da ruberie, ritardi nella realizzazione di stadi e infrastrutture, deportazione di intere comunità dalle aree povere contigue agli stadi, inflazione (6 per cento, percepita come se fosse al 12), disagio sociale, militarizzazione dei quartieri dominati dal narcotraffico.

L’ex campione del mondo (Usa ’94) Romario, oggi deputato di un partito di sinistra, ha preso le distanze dall’organizzazione: “Fuori dal campo questa Coppa del mondo è diventata una vergogna, per colpa dei politici ladri che si stanno arricchendo con i nostri soldi”.

“Ma attenzione”, mette in guardia il politologo Carlos Pereira, docente alla Fondazione Getulio Vargas (il più prestigioso istituto di pubblica amministrazione), “questo è un Paese umorale e fortemente nazionalista. È vero che il governo ha commesso molti errori e che la qualità della vita è nettamente inferiore alla sua crescita economica. Ma è altrettanto vero che ci vogliono molti anni per raggiungere gli standard del primo mondo. Se il Brasile dovesse vincere il Mondiale, il malcontento per qualche tempo sarebbe spazzato via dall’euforia”.

Secondo il governo la Coppa del Mondo inietterà nell’economia nazionale circa 11,1 miliardi di dollari, grazie alla pubblicità e alle spese dei tifosi. Quasi 400 mila persone, secondo le stime ministeriali, avranno un lavoro. I critici, tra cui le agenzie di certificazione come Moody, fanno notare che si tratta di occupazione stagionale e che l’impatto sull’economia brasiliana sarà minimo.

Il presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha difeso l’organizzazione del Mondiale e ha in parte scaricato sulla FIFA la lievitazione dei costi dei dodici stadi del torneo, nel corso di una riunione informale con i corrispondenti della stampa estera a Palazzo Alvorada, la residenza presidenziale a Brasilia. Quando il Paese sudamericano si vide assegnare l’organizzazione del Mondiale nel 2007, la Fifa aveva, secondo il presidente, assicurato che gli stadi sarebbe stati finanziati dai privati. Quando invece il governo ha accertato che “nemmeno la metà di uno stadio” aveva visto la luce, ha spiegato durante questo incontro (durante il quale i giornalisti hanno potuto prendere appunti ma non registrare le sue parole), è stato costretto a intervenire a livello economico.

La maggior parte degli investimenti pubblici effettuati dal 2007, ha rivendicato Dilma, è stato “per il Brasile” e non per il Mondiale. Ha citato nel dettaglio la ristrutturazione degli aeroporti e i lavori di mobilità urbana che alcune città ospitanti non avrebbero progettato se non “prima di numerosi anni” senza la prospettiva del Mondiale di calcio. Ha tuttavia riconosciuto che alcuni cantieri saranno chiusi solo dopo la fine del torneo. L’organizzazione costosa e caotica della Coppa del Mondo – quattro dei dodici stadi non sono ancora ultimati a nove giorni dall’inizio – ha scatenato un vespaio di polemiche. I brasiliani erano massicciamente scesi in piazza nel giugno 2013, in occasione della Confederations Cup, per reclamare l’adeguamento agli “standard Fifa” dei servizi pubblici basilari: trasporti, sanità, istruzione.

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