Il futuro dell’Iraq: più guerra e caos


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La situazione in Iraq va di male in peggio. Di seguito cinque scenari sui possibili sviluppi. L’occidente trattiene il respiro e sta a guardare il paese. Ma fino a quando? L’Iraq ha superato l’Iran come quasi il più grande produttore di petrolio dei paesi OPEC. Gli sviluppi in Iraq sono importanti per le conseguenze che possono avere sul prezzo del petrolio e quindi per l’economia, anche della Norvegia. La guerra in Iraq rischia di destabilizzare tutta la regione. I ribelli dell’ISIL continuano a seminare il terrore in Iraq e Siria. Dietro gli atti terroristici in Europa c’è la loro idea di guerra santa, come ad esempio dietro alle azioni contro il museo ebraico a Bruxelles avvenute a maggio. Qui proponiamo cinque scenari dell’evoluzione della situazione in Iraq, elaborati in collaborazione con Henrik Thune, a capo del programma per il MedioOriente del NUPI e ricercatore presso l’università del North Carolina e con i ricercatori Kjetil Selvik e Christian Michelsen dell’università di Bergen.

1) Bagdad viene conquistata dall’ISIL Questa è la peggiore delle ipotesi. Si tradurrebbe in una sanguinosa e duratura guerriglia tra diverse fazioni militarizzate, incluso l’ISIL. Un simile scenario sarebbe, inoltre, un incubo per Barak Obama perché renderebbe ancora più difficile convincere la popolazione americana che la guerra in Iraq è terminata. Gli Stati Uniti sarebbero costretti a valutare la possibilità di intervenire nuovamente in maniera diretta. In questo caso assisteremmo ad una seconda fase di guerra in Iraq. Il primo ministro Nouri al-Maliki, da parte sua, ha un controllo limitato e poca fiducia nel nuovo esercito iracheno, l’esercito è addestrato male, come abbiamo visto a Mosul. Ma intorno a Bagdad Malik è comunque potente. Egli ha il controllo sulla sua milizia.

2) Attacchi alla regioni curda Un altro scenario vede l’ISIL tentare un attacco alla regione autonoma del Kurdistan del nord. Ma la domanda è se l’ISIL voglia spendere le sue energie in questa operazione. I curdi non possiedono quel tipo di armi tale da poter tenere l’ISIL lontano dalla loro regione. I curdi temono un’azione simile, e giovedì si sono recati nella grande città petrolifera di Kirkuk per prevenire un attacco dell’ISIL alla città. Una possibilità è che i curdi dichiarino l’indipendenza di un proprio stato, con Kirkuk capitale, come reazione al caos nel sud della regione. Nel caso in cui la situazione continuasse su questa pista, i curdi potrebbero riceve un notevole aiuto internazionale, senza che questo, tuttavia, porti delle soluzioni alla situazione irachena.

3) Bagdad rimanda indietro i militari Questo è quello che stiamo vivendo adesso. Bagdad ha condotto un attacco aereo e gli Stati Uniti possono arrivare ad utilizzare i droni. L’attacco aereo non potrebbe, in ogni caso, fermare l’ISIL. Per questo Malik spera di usare la paura nei confronti dell’ISIL per costruire un fronte con l’esercito iracheno, i curdi di Pshmerga e la milizia islamista nel tentativo di allontanare l’ISIL. La domanda è: una simile alleanza sarebbe in grado di allontanare l’ISIL? Assad non è riuscito del tutto ad allontanare gli jihadisti nonostante abbia il controllo dell’esercito. Malik è, perciò costrutto a recuperare i gruppi di ribelli musulmani sunniti che fino a questo momento sono stati contro di lui. Una vittoria contro l’ISIL presuppone un processo politico di riconciliazione in Iraq che nessun altro, oltre gli Stati Uniti, può garantire. Ma Obama, fino ad ora, è stato passivo e concentrato sui negoziati con l’Iran. L’Iran non ha nessun interesse a che cresca il coinvolgimento americano nello scenario iracheno, né desidera che i sunniti riprendano un ruolo di potere nella politica dell’Iraq.

4) Un proprio califfato condiviso tra l’Iraq e la Siria Questo è l’obiettivo dell’ISIL. Essi desiderano fondare un califfato che attraversi la frontiera tra Siria e Iraq. L’ISIL si oppone dogmaticamente ai confini statali in Medioriente, così come furono disegnati dopo la prima guerra mondiale. ISIL ha dichiarato califfati alcune zone dell’Iraq, giù in passato e potrebbe farlo ancora. La possibilità di mantenere il controllo su una grande regione per lungo tempo è, tuttavia, limitata. Al gruppo manca il supporto locale in quasi tutte le città. La soluzione dimora in un reale processo di pace tra il governo dello Shaa di Badgad e i sunniti iracheni ribelli. Qui gli Stati Uniti giocano un ruolo chiave, perché possono far pressione sul regime di Bagdad. L’alternativa è un caos duraturo e un persistente focolaio per una nuova generazione di terrorismo regionale e internazionale. Qualcosa che darebbe nuova linfa al dibattito in US, sull’intervento militare.

5) Caos e una perdurante guerra civile Questo è lo scenario più probabile. L’Iraq, in pratica, oggi non è più uno stato. Dalla guerra del 2003, l’Iraq è passato dall’essere una dittatura sotto il pieno controllo di Saddam a qualcosa che ricorda fortemente il frammentato Afganistan. Né Malik, né gli Stati Uniti hanno preso possesso delle zone dell’Iraq abbandonate dopo la caduta di Saddam. Mentre invece i sunniti sono stati soppressi. Questo ha dato spazio ad un ISIL forte e reso l’Iraq un paese caotico e senza controllo. A differenza dell’Afganistan, le zone di conflitto di estendono fino al mediterraneo e si avvicinano all’Europa, e qui si raccolgono la rabbia e frustrazione di una gioventù radicalizzata proveniente dell’intero medioriente e dell’Europa. E’ qui che agisce l’ISIL e dimora la più grande minaccia per il mìMedioriente e l’Europa. La sfida è impedire che l’Iraq e la Siria diventino un nuovo Afghanistan, e la strada è quella di avviare un processo politico in Iraq e allo stesso tempo smorzare il conflitto siriano. Qui l’Occidente e le potenze mediorientali hanno fondamentalmente sbagliato strategia.

Traduzione di Carla Melis per Spondasud- Rivista di Geopolitica

Fonte dell’articolo: Aftenposten

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