Ecco perchè bisogna mostrare le foto dei bambini palestinesi uccisi da Israele


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(Alessandro Aramu) – Il giornalismo è raccontare, svelare, mostrare. Il contrario del giornalismo è occultare, nascondere, censurare. Indro Montanelli diceva che non esiste la verità ma una verità, ovvero quella che gli occhi del giornalismo possono vedere. Lo sguardo arriva fino a un certo punto e il dovere del cronista è raccontare ciò che vede. Oltre quello sguardo ci può essere un’altra verità che qualcun altro può raccontare o meno.

Il giornalismo è dunque mostrare e mi hanno insegnato che quando si ha a che fare con la guerra ci sono cose che si possono mostrare e altre che non si possono mostrare per non urtare la sensibilità delle persone più deboli, a partire dai bambini.

E proprio di loro che voglio parlare. Oggi decido che la mia rivista non deve avere paura di mostrare la foto di un bambino morto sotto i bombardamenti israeliani a Gaza. Decido che del giornale che dirigo faccio ciò che voglio, piegandomi a una sola regola: quella della mia coscienza di giornalista e di uomo. Mostro le foto che l’informazione mainstream non vuole e non può mostrare, perché ogni giorno è piegata alle logiche della politica e della menzogna. I bambini italiani devono sapere che ci sono altri bambini che hanno visto morire i propri genitori, fratelli, parenti e amici. Devono sapere che ci sono altri bambini morti, sepolti sotto le macerie distrutte dalle bombe di Israele. Devono sapere che c’è una logica nazista nell’informazione: 1 bambino ebreo ucciso vale 10 bambini palestinesi morti. Che ci sono morti di serie A e morti di serie B. Morti che nessuno ha il coraggio di mostrare perché c’è il diritto di perseguitare il popolo palestinese senza che nessun organismo internazionale possa reagire.

In questi anni ho criticato Hamas più di una volta. Ritengo che sia un movimento che non ha prospettiva politica e che la Resistenza, legittima davanti alle continue violazioni di Israele nei confronti della Palestina e del suo popolo, a un certo punto debba trovare un punto di svolta. Quel punto di svolta è arrivato con il consenso di tutti: il governo di unità nazionale con al Fatah. Un punto di svolta che non è piaciuto a Israele e al suo premier. Netanyahu, fin dall’inizio, ha deciso che quello storico accordo doveva fallire e ha lavorato affinché si arrivasse a questo punto. Serviva un pretesto. E l’ha trovato: il rapimento e la morte di tre giovani coloni ebrei. Un crimine orrendo. Nessuno può gioire per quello che è successo. La verità è che non c’è nessuna prova che il responsabile di quell’azione sia Hamas. L’unica rivendicazione, taciuta da tutti, è arrivata da un movimento jihadista palestinese. Il governo di Israele ha avuto il pretesto che voleva e ha risposto con una repressione che vìola tutte le regole del diritto internazionale.

In Cisgiordania abbiamo assistito per giorni a un rastrellamento che ricorda purtroppo le azioni peggiori degli eserciti occupanti nelle guerre di mezzo mondo. Qui, inoltre, c’è un fattore etnico e religioso che aggrava la situazione. Un esercito occupante di uno Stato che continua a costruire insediamenti e colonie al di fuori di qualunque regola. Ma il diritto internazionale è carta straccia. Il diritto è soltanto la piega con la quale il più forte impone una condotta al più debole. Distruggere le case dei palestinesi e occupare le loro terre, anche quando non arrivano missili e non ci sono azioni armate, è diventato il contrappeso di una difesa alla sicurezza dello Stato di Israele che nessuno può contrastare. Il mondo resta a guardare. L’informazione si piega a quel mondo assente e distratto.

I raid di Israele non c’entrano nulla con i missili di Hamas. Le bombe su Gaza non c’entrano nulla con il rapimento e l’uccisione dei tre giovani coloni ebrei. No, questo nuovo “Piombo Fuso” è la reazione di Israele, dei suoi falchi, della destra ultraconservatrice razzista e nazista, al governo di unità, a quell’esecutivo che anche gli Stati Uniti hanno riconosciuto e sostenuto. Il premier Netanyahu, così come è accaduto con l’Iran, è rimasto solo, con le spalle al muro. Aveva un solo modo per uscire dall’angolo: bombardare Gaza e cercare di annientare con la violenza Hamas. Per fare questo ha voluto passare attraverso i corpi dei civili. E quei corpi, che piaccia o meno, sono spesso quelli dei bambini che l’informazione mainstream non vuole mostrare. Non si mostrano perché l’opinione pubblica non deve sapere.

Noi quei corpi li mostriamo. Perché un bambino ebreo vale quanto un bambino palestinese. Abbiamo mostrato la foto dei tre coloni ebrei come quello del giovane palestinese bruciato vivo da “ultrà” israeliani. La morte bisogna guardarla in faccia. Anche quando è deforme e procura orrore. I numeri non sono cifre. I numeri non sono altro che sentimenti di persone che si spezzano, di storie e drammi che uno scatto a volte racconta meglio di qualunque scritto.

Io non sono contro Israele. Io sono contro la politica di Israele. Sono contro Netanyahu e la sua politica fascista. Lui è il vero nemico di Israele e di quei tanti ragazzi ebrei che negli ultimi mesi si sono rifiutati di fare la guerra ai palestinesi e di arruolarsi sotto l’insegna della stella di David. In Israele c’è tanta gente che non ne può più di questo governo. Gente che ritiene il proprio premier più pericoloso dei missili di Hamas. Pochi giornalisti hanno il coraggio di raccontare questa parte di Israele. Gli altri sono piegati alla logica della politica e della disinformazione.

C’è una regola nel diritto, anche internazionale: la proporzione tra azione e reazione. L’offesa di Hamas, se c’è stata, non è comparabile con l’assurda reazione di Israele. I numeri in questo caso, solo in questo, sono cifre: da una parte zero morti, dall’altra un numero crescente di vittime e feriti. È chiaro: Israele non vuole fermare Hamas, vuole annientare il popolo palestinese. Lo ha fatto in silenzio con i nuovi insediamenti. Lo fa oggi con il fragore delle bombe.

Quelle bombe hanno un volto. Tanti volti. Quelli dei bambini uccisi da Netanyahu.

Ecco perché li mostro.

(twitter@AleAramu)

 

Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014).

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