Film sul genocidio armeno: minacce di morte al regista di The Cut


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Il regista di origine turca Fatih Akin ha ricevuto delle minacce di morte per aver realizzato il suo film sul genocidio armeno. “The Cut”, questo è il titolo della pellicola presentata alla Mostra di Venezia, racconta l’odissea personale di Nazareth. Siamo a Mardin, nel 1915, quando la polizia turca fa irruzione di notte nelle case armene e porta via tutti gli uomini della città per arruolarli, incluso il giovane fabbro che viene così separato dalla famiglia. Akin, però, non vuole dare troppo peso all’accaduto: “Mi ci sono voluti 7/8 anni per prepararmi emotivamente al film: qualcuno mi ha minacciato, ma sono cose a cui basta non dare troppo peso. Si tratta di piccole reazioni che non hanno importanza”. 

“Mi ci sono voluti 7/8 anni per prepararmi emotivamente al film: qualcuno mi ha minacciato, ma sono cose a cui basta non dare troppo peso. Si tratta di piccole reazioni che non hanno importanza”, racconta Akin, 

Un film scomodo perché la Turchia non ha mai riconosciuto il genocidio del popolo armeno. La versione internazionale dei fatti, infatti, parla di sterminio premeditato di un milione di persone, che l’Armenia vorrebbe vedere classificato come genocidio. La Ankara ha sempre respinto questa ipotesi, dicendo che le vittime non furono oltre 350mila e che soprattutto morirono per “tragica fatalità” durante i trasferimenti coatti della popolazione armena nell’est del Paese. Inevitabile, dunque, che il regista sia preso di mira dagli estremisti turchi.

IL FILM – Le immagini della pellicola di Akin hanno un impatto visivo ed emotivo fortissimo. L’esodo  del popolo armeno, condotto ai lavori forzati o alla morte verso il deserto siriano di Der el Zor, è descritto con una intensità tale da generare sofferenza nello spettatore messo davanti a un dolore che non troverà mai pace. “Una terra di nessuno, desertica e arsa dal sole, che porta a un passo dalla morte anche Nazaret, ma che allo stesso tempo gli ridà la vita, attraverso le mani di colui che doveva esserne il carnefice”.

L’esodo è scandito dalla denutrizione più totale, dalla disidratazione, dall’ibernazione, dalle epidemie, dalle vessazioni dei predoni assunti dalla Turchia.  Sopravvissuto all’olocausto della sua terra, Nazaret viene a sapere che le sue due figlie sono ancora vive, ma non sa dove. L’uomo decide così di ritrovarle e si mette sulle loro tracce, “traducendo dalla metafora alla realtà dei suoi nuovi giorni di scampato al genocidio la sua identità di profugo”.

The Cut inteso come taglio, ma anche massacro, lo strappo inferto a un’intera popolazione da parte di alcune minoranze interne che hanno preso il potere con la forza. “Mi sono accorto – ha rivelato il regista – di avere diretto un film epico, un dramma, un’avventura e un western tutti insieme. Il film sarebbe potuto essere ambientato cento anni fa, ma non potrebbe essere più attuale: è un racconto di guerra, oltre a mostrare il potere dell’amore e della speranza che ci permette di raggiungere l’inimmaginabile”.

LA SOLIDARIETA’ DI ASSADAKAH –Il Centro Italo-Arabo Assadakah ha espresso solidarietà al cineasta Fatih Akın che, per aver affrontato il tema del genocidio armeno nel suo ultimo film, ha ricevuto minacce di morte da parte di estremisti turchi. “Il Centro Italo-Arabo Assadakah, – è scritto in una nota – rilanciando la proposta affinché il 2015, centenario del genocidio armeno, sia riconosciuto dalla comunità internazionale come anno della memoria, ribadisce la necessità del riconoscimento storico della tragedia e delle conseguenze attuali che il tabù del genocidio comporta ancora oggi in Turchia.

 

 

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