La Turchia nel baratro dello Stato Islamico


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(Valeria Stera) – Prosegue il supporto esterno all’ISIS nella lotta per la creazione di uno stato islamico tra Iraq e Siria. Secondo alcune fonti la Turchia sarebbe uno dei maggiori finanziatori dei combattenti islamici. Sin dagli esordi del conflitto siriano era noto che la Turchia avesse supportato la nascita del movimento armato sunnita. In base alle pubblicazioni del famoso giornalista turco Cengiz Andar, lo stato turco aveva finanziato e supportato dal punto di vista logistico la lotta contro il governo di Bashar Al-Assad, fornendo armi e favorendo l’ingresso in Siria dalla Turchia ai combattenti in opposizione al regime, e ostacolato la nascita di un Kurdistan autonomo.

Da tempo, il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan manifesta la sua indignazione nei confronti delle atrocità commesse in Siria contro i musulmani sunniti ad opera di Al-Assad e concede a vari gruppi e all’esercito siriano di opposizione supporto logistico a Gaziantep. Arabia saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti, mettendo a disposizione parte del loro capitale al fine di favorire l’azione dell’ISIS, hanno giocato un ruolo complementare alla Turchia, che ha invece gestito gli spostamenti, i pagamenti e l’approvvigionamento di armi alle varie organizzazioni coinvolte.

Il giornalista David L. Philips della CNBC, in seguito a una recente visita in Turchia, ha raccontato il suo incontro con alcuni membri del parlamento turco e personalità illustri. I loro racconti hanno confermato il già sospettato coinvolgimento della Turchia e di altre organizzazioni militanti sunnite nelle operazioni dell’ISIS. In particolare si fa riferimento alla Turkey’s Foundation for Human Rights and Freedoms and Humanitarian Relief (IHH), organizzazione di beneficienza che dietro la sua benefica attività nasconde una lunga storia di supporto a gruppi estremisti sunniti. L’IHH opera in 120 paesi del mondo e collabora a stretto contatto con la Fratellanza Musulmana. Secondo le loro dichiarazioni, Bilal Erdoğan, figlio del Presidente Recep Tayyip Erdoğan, sarebbe un membro del consiglio dell’IHH e si sarebbe servito della sua privilegiata posizione per raccogliere finanziamenti al fine di sostenere l’attività dell’ISIS. Alcune fonti hanno confermato l’esistenza di questo legame, nonostante nel sito web non esista nessun riferimento specifico.

L’ISIS è finanziato quindi da una fitta rete di sponsor internazionali e organizzazioni appartenenti al mondo arabo; fra questi emergono Yasin Al-Qadi, un illustre saudita correlato ad Al-qaeda e in stretti rapporti con Erdogan, lo sceicco Yusuf Qaradawi, coinvolto in alcuni attacchi suicidi in Israele e attuale presidente dell’IHH, Abdul Majid al-Zindani, un radicale etichettato come terrorista internazionale dagli USA nel 2004, membro del consiglio della stessa organizzazione. Inoltre, anche l’ “Union of Good”, originaria dell’Arabia Saudita e riconosciuta a livello internazionale come Foreign Terrorist Organization (FTO), Organizzazione Terrorista Straniera, sembrerebbe essere correlata all’IHH. Quest’ultimo ha dei precedenti importanti: già nel 2008 fu bandito dallo Stato di Israele per aver riciclato del denaro per Hamas e divenne noto a livello internazionale nel 2010 per aver organizzato la Gaza flotilla, un espediente per attirare l’attenzione dei Palestinesi e provocare Israele. Nello stesso anno, la filiale tedesca fu bandita dalla Germania a causa delle sue relazioni con l’attivismo jihadista. Nel settembre del 2012 l’organizzazione si è occupata della spedizione della prima imbarcazione contenente armi destinate ai Fratelli Musulmani in Siria.

E’ così che i maggiori finanziatori del partito AKP di Erdoğan cederebbero continuamente ai ripetuti inviti a sostenere economicamente questa rete, per paura di perdere la loro posizione. Gli indizi che dimostrano un serio coinvolgimento della Turchia sono vari ma la loro ricerca è stata più volte ostacolata e boicottata. Philips si riferisce soprattutto all’indagine sul rifornimento di armi portata avanti dal pubblico ministero di Hatay che dopo aver scoperto il legame con il Ministro degli Interni e i servizi segreti turchi “MIT” (Milli Istikbarat Teskilati), è stato licenziato.
In varie occasioni sono stati anche intercettati e bloccati mezzi carichi di munizioni diretti in Siria, ma subito dopo gli ufficiali coinvolti sono stati licenziati.

Recep Erdoğan e il Ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu hanno accolto l’ISIS in casa propria e creduto di poterlo controllare. Ma nel 2013 il gruppo sunnita ha rivendicato l’attacco a Reyhanli, piccolo paese della Turchia in provincia di Hatay, vicino al confine con la Siria, che ha causato la morte di 52 civili e 146 feriti. Questo fatto ha generato nel popolo turco un forte senso di diffidenza nei confronti di un coinvolgimento della Turchia nella guerra civile siriana e di risentimento per il 1,5 miliardi di dollari che la Turchia aveva destinato fino a quel momento agli 800.000 rifugiati siriani.

Nonostante l’inversione di rotta di Erdoğan, la dura realtà è che l’ISIS continua ad agire indisturbato e ampiamente sostenuto dalla Turchia. L’IHH, infatti, continua ad alimentarne le risorse. L’ex Presidente e Primo Ministro Suleyman Demirel ha parlato dell’esistenza di due stati all’interno della Turchia, dovuta alla forte azione di una rete segreta composta da burocrati, figure dell’intelligence, forze di sicurezza e membri di organizzazioni criminali coinvolti nel commercio illegale di armi, nel traffico di droga e in assassini politici.

Nel gennaio 2014, il governo turco ha iniziato a effettuare controlli più severi sull’IHH. L’arresto di importanti autorità, quali un anziano membro di Al-Qaeda, sospettati di avere relazioni con l’IHH, il vice-leader di Al-Qaeda İbrahim Şen, detenuto a Guantanamo Bay, il rappresentante turco di Al-Qaeda, Halis Bayancuk, potrebbe apparire come un’inversione di rotta o forse solo una mossa astuta in vista della conferenza di pace Ginevra II sulla Siria e per la quale alla Turchia era stata affidato un ruolo da leader.

In riferimento all’apparente inversione di rotta governativa del 2014, Philips riporta le dichiarazioni dei leader parlamentari, secondo le quali il coinvolgimento della Turchia nel conflitto continua ad avere un peso consistente e per questo motivo hanno chiesto al governo di esplicitare i suoi legami con l’ISIS e l’IHH, non ottenendo però una risposta. Adana, Kilis, Gaziantep e Kayseri sono i luoghi maggiormente soggetti ai diretti contatti fra gli ufficiali turchi e i combattenti dell’ISIS, secondo le dichiarazioni degli abitanti di Kilis. Il 10% dei combattenti che partono dalla Turchia è composto da turchi e molti musulmani simpatizzano per l’ISIS. David Philips si domanda se cosa significhi credere nell’Islam e cosa invece voglia dire commettere un genocidio in nome di Dio. E’ convinto che esista una profonda distinzione fra i due.

 

Valeria Stera (1984). Laureata presso la facoltà di Scienze Politiche di Cagliari in Governance e Sistema Globale, Studi Politico-Internazionali dell’Africa e dell’Asia con una tesi sullo sfruttamento del lavoro minorile in India, realizzata grazie ad un’esperienza di ricerca sul campo. Ha svolto alcuni stage in Giordania e ha lavorato per un breve periodo per una ONG norvegese, Norwegian Refugee Council (NRC), presso il campo dei profughi siriani di AL Za’atari.

 

 

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