Quando a Damasco intervistammo il terrorista venuto dalla Francia


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(Franco Murgia) – Era il 6 settembre del 2012 e a Damasco le notti erano cadenzate dalle esplosioni dei mortai che cadevano nella periferia della città. Era il segno terribile dell’assedio che la città subiva da parte di una variegata coalizione che vedeva i paesi del golfo, in prima fila l’Arabia Saudita e Qatar, e la Turchia, mentre più defilata appariva la grande coalizione occidentale con Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna impegnati comunque nella grande battaglia per la democrazia in Siria. Così dicevano, almeno, e l’Italia si accodava acriticamente a queste tesi, ma l’evidenza era ben altra. La Siria era l’alleato più importante dell’Iran ed era il maggior ostacolo per portare il gas arabo nel Mediterraneo, ma parlare di democrazia era certamente più digeribile per la nostra distratta opinione pubblica.

Quando ormai era calata la sera la delegazione di Assadakah, di cui facevo parte, venne condotta con grande riservatezza in un carcere di massima sicurezza in una località segreta nei pressi di Damasco e qui potemmo intervistare alcuni detenuti. La loro provenienza era varia, un turco, tre siriani e un franco-algerino proveniente da Marsiglia, ma tutti erano colpevoli di reati legati al terrorismo. Fu in quella occasione che per la prima volta sentimmo parlare, dalle vive parole di militanti islamici, del califfato islamico come l’obiettivo ultimo di quella guerra. Quello del califfato era un argomento che univa tutti e cinque i detenuti, era alla base della loro formaziuone ideologica, la trama su cui si sviluppava l’ordito degli interessi economici di quei paesi e dei loro alleati occidentali, e solo da poco l’occidente ha tristemente imparato cosa sia.

Tutti i detenuti che stavano davanti a noi si erano macchiati di atti gravissimi, ma la nostra attenzione fu catturata dal detenuto francese. Amer al-Khodoud, questo era il suo nome, aveva 49 anni e sei figli, ed era venuto in Siria perchè le televisioni satellitari in lingua araba, soprattutto Al Jazeera e Al Arabyia, le tv del Qatar e dell’Arabia Saudita, martellavano i suoi sensi di colpa con le immagini dei presunti soprusi di Assad verso i siriani e con i reportage che inneggiavano alla liberazione dal despota. Questo ci fece capire l’importanza, la notizia era di quei giorni, dell’eliminazione dei programmi delle tv siriane dai satelliti controllati dai paesi del golfo. L’informazione andava controllata, doveva essere a senso unico, esattamente come quella nei paesi occidentali, e per questo la voce della Siria venne cancellata.

La famiglia del detenuto franco-algerino, il più grande dei suoi figli aveva undici anni, nulla sapeva delle sue intenzioni, e lui volò dalla Francia a Istanbul e da lì raggiunse un campo profughi vicino al confine con la Siria. Qui per qualche settimana venne addestrato all’uso delle armi, che a suo dire avveniva ad insaputa delle autorità turche, e gli venne fornito un fucile. La sua avventura finì quasi subito, miseramente, perchè venne catturato dopo un paio di settimane e finì in carcere, senza che potesse commettere alcun atto di guerra. Ci disse che i francesi che si trovavano in Siria erano tantissimi, come quelli provenienti da altri paesi europei, ma la maggior parte venivano da Iraq, Pakistan, Libia e altri paesi islamici. Colpiva il suo sguardo dimesso, gli occhi sempre bassi, e una evidente paura della condizione che si trovava ad affrontare. Il carcere siriano non è certo un centro benessere, e durante i saluti di commiato riuscimmo a scambiare qualche fuggevole parola sulle sue condizioni che confermarono le nostre impressioni.

Questa intervista, un vero scoop per quel periodo, è reperibile in audio e video sul sito di Assadakah, ed è stata completamente ignorata dai media nazionali che, nel rispetto della linea, censuravano ogni voce dissonante. Ne abbiamo parlato anche nel libro “Syria, Quello che i media non dicono” (Arkadia Editore). Li sono chiari gli interessi in gioco e i rischi che corre l’occidente nella sua attività di sovvenzionamento palese, ma soprattutto occulto, di frange terroristiche. Armare dei terroristi e addestrarli può avere, e oggi sappiamo bene che ha avuto, delle conseguenze nefaste e quello che era un conflitto locale rischia di trasferirsi nelle nostre città.

Franco Murgia (vice presidente Assadakah Sardegna)

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