Beirut ora teme l’attacco aereo di Israele. La politica libanese avverte Netanyahu


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(Alessandro Aramu) – Si vivono ore di grande tensione in Libano dopo l’attacco di Hezbollah a un convoglio militare israeliano e la reazione di Israele che ha bombardato alcuni villaggi nella parte meridionale del paese.

A Beirut, nella periferia sud della città, dove Hezbollah ha grande consenso, le sensazioni degli abitanti sono contrastanti: gioia, per l’attacco dei combattenti sciiti che hanno vendicato i “martiri del Golan” uccisi nei giorni scorsi da un attacco aereo di Israele, e la paura di essere colpiti di nuovo da pesanti combattimenti, come accadde nel luglio del 2006, quando l’aviazione di Tel Aviv scatenò l’inferno, causando morte e distruzione.

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha deciso di convocare i capi della sicurezza per decidere il da farsi e le possibili mosse da attuare: “Chi è responsabile dell’attacco di oggi, – ha detto – la pagherà”.

Israele ha occupato per ben 22 anni, fino al 2000, alcune aree del Libano. I due paesi sono ancora tecnicamente in guerra. L’ultima guerra ha ucciso più di 1.200 libanesi, la maggior parte civili, e 160 israeliani, la maggior parte soldati.

Sensazioni e gesti contrastanti, solo apparentemente contraddittori: spari di esultanza e valigie pronte, per evacuare case e palazzi che potrebbero essere il bersaglio di missili e bombe. La reazione di Israele è imprevedibile e gli abitanti della capitale lo sanno bene.

Anche la politica libanese vive ore di attesa e di grande preoccupazione. Il primo ministro Tammam Salam ha condannato l’escalation militare israeliana e ha espresso preoccupazione per le “intenzioni aggressive espresse dai funzionari israeliani e il deterioramento della situazione nel sud del paese”.

Il governo parla espressamente di responsabilità della comunità internazionale incapace di reprimere “ogni tendenza israeliana a giocare con la sicurezza e la stabilità nella zona”. L’ex presidente libanese, Michel Sleiman, ha avvertito Israele, mettendolo in guardia da possibili “azioni” che rappresenterebbero una violazione della risoluzione n. 1701 dell’ONU che ha posto fine alla guerra del luglio del 2006.

Sleiman ha ricordato che il Libano non ha interesse a scatenare un conflitto che aiuterebbe solo Israele e i “gruppi terroristici” (ISIS e Al Qaeda) che vogliono minare una “situazione politica relativamente stabile, anche grazie al dialogo che le forze politiche hanno avviato in questi anni”. L’ex presidente libanese ha accusato Netanyahu di volere la guerra per fini elettorali.

Il leader delle Forze Libanesi e candidato alla carica di Presidente della Repubblica, Samir Geagea, ha invece accusato Hezbollah di mettere in pericolo il paese, “prendendo decisioni che non sono condivise dall’esercito e dalla popolazione e che avranno pesanti ripercussioni sulla sicurezza e stabilità del paese”.

Osama Saad, segretario generale del partito nasseriano libanese, ha invece lodato “l’operazione eroica dalla resistenza islamica che ha colpito una colonna di veicoli militari dell’esercito sionista nelle fattorie di Shebaa occupate”. Saad ha invitato i libanesi a stringersi intorno “alla resistenza di Hezbollah” per cacciare le forze di occupazione delle fattorie di Shebaa e “liberare ogni centimetro delle terre occupate”. (Twitter@AleAramu)

 

Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014). Fa parte del Centro Italo Arabo Assadakah ed è vicepresidente nazionale del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria.

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