IL CASO. Il paravento dell’ONU non nasconde i crimini dell’Arabia Saudita


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(Alessia Lai) – Non abbiamo bisogno delle mail inviate dall’ambasciata saudita per sapere che l’Onu ha approvato una nuova risoluzione a uso e consumo delle potenze occidentali e dei loro alleati arabi. Ringraziamo comunque l’ufficio stampa dell’Arabia Saudita, che si è premurato di farci giungere la segnalazione dell’ultima farsa approvata in sede internazionale. Un messaggio, molto cordiale, nel quale si è fatto esplicito riferimento all’autrice dell’articolo sulla manifestazione svoltasi il 14 aprile scorso davanti all’Ambasciata saudita a Roma. La stessa che ora scrive questo nuovo pezzo nel quale, pur ringraziando l’ufficio stampa saudita per la considerazione di cui evidentemente ha goduto il precedente report, non può che ribadire la sua convinzione che il regime dell’Arabia Saudita sia una monarchia di tipo feudale che conculca le più elementari libertà e i diritti umani fondamentali.

Come pure non può tacere che l’approvazione della risoluzione 2216 non fa che confermare l’assoluta parzialità delle Nazioni Unite, che approva documenti sempre in linea con il volere dei Paesi alleati degli Stati Uniti d’America. L’Onu, una struttura nella quale alcuni Stati hanno un peso differente a dispetto di altri, non può che essere delegittimata già nelle sue fondamenta.

Non è questo il luogo per un discorso sulla evoluzione dell’Organizzazione, ma magari è utile notare che questa istituzione sovranazionale è oramai niente altro che la stampella delle decisioni prese dai Paesi allineati a Washington. Gli stessi che hanno dalla loro parte i media mainstream e che, Onu o no, mettono in piedi coalizioni militari utili a tutelare i loro interessi. Proprio come accaduto di recente, quando l’Arabia Saudita e una coalizione di paesi sunniti il 26 marzo hanno lanciato l’operazione “Decisive Storm” per cercare di riportare a Sana’a il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, gradito a Ryad.

In Yemen i ribelli sono quelli che non piacciono agli Usa e ai loro alleati vicino orientali. Non tagliano teste, non massacrano cristiani, sciiti e sunniti non integralisti. Soprattutto non vogliono deporre un presidente sgradito alla Casa Bianca. Al contrario, vogliono liberare lo Yemen dall’influenza saudita. “Condanniamo gli houthi per aver destabilizzato lo Yemen” ha dichiarato dopo il voto l’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha Power. Basterebbe questa barzelletta a far capire quale farsa sta mettendo in atto, ancora una volta, la cosiddetta comunità internazionale.

Per Washington, che da anni bombarda lo Yemen con i droni (a caccia degli stessi terroristi di Al Qaida che invece finanzia in Siria), gli houthi, sciiti e quindi considerati vicini all’Iran, sarebbero la causa dell’instabilità yemenita, come se Saleh e il suo successore Hadi avessero mai garantito al Paese pace e prosperità. La realtà è che, data per certa – e soprattutto per antica – l’instabilità yemenita, quel che non viene tollerato in questo frangente è che i ribelli houthi siano nemici dell’influenza saudita nella penisola arabica. La conseguenza è che Ryad e i suoi alleati possono tranquillamente massacrare i civili yemeniti. E con tanto di risoluzione Onu a favore.

Siamo di fronte all’abituale doppiopesismo internazionale per il quale i morti hanno un valore differente a seconda dell’utilità che ne guadagna la retorica occidentalista, quella che racconta la necessità di esportare la democrazia ovunque vi siano regimi non allineati agli interessi geo-economici atlantici. A rigor di logica un paese retto da una monarchia assoluta nel quale le donne vengono private di numerosi diritti, non sono permessi sindacati e organizzazioni politiche, nel quale esiste una polizia religiosa e non sono ammessi culti diversi da quello ufficiale, dovrebbe essere il primo nemico delle “democrazie” occidentali. Niente di tutto questo avviene nel caso dell’Arabia Saudita, alla quale è permesso bombardare impunemente un paese confinante. Ci perdonino, i rappresentanti di Ryad in Italia, se teniamo ancora una volta a sottolineare queste incongruenze. Continueremo a farlo finché avremo voce.

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