REPORTAGE DAL KURDISTAN TURCO / Che la guerra abbia inizio!


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(Simona Deidda- Dersim/Tunceli, Turchia) – “Che la guerra abbia inizio!”, è questo che deve aver pensato l’ex Primo Ministro turco, Recep Tayyip Erdoğan, in seguito al risultato elettorale dello scorso 7 giugno che ha visto per la prima volta l’ingresso in parlamento di esponenti delle minoranze presenti nel paese (tra cui di spicco quella curda) rappresentati dal HDP (Partito Democratico del Popolo). Ed è questo che hanno pensato i curdi, gli esponenti di sinistra e del socialismo turco, gli eredi di Gezi Park quando il 24 luglio, data di estrema importanza per il Kurdistan, poiché riporta alla mente quel 24 luglio 1923 che segnerà la vita del popolo curdo con la spartizione del territorio in 4 stati secondo il Trattato di Losanna, l’aviazione turca ha iniziato a bombardare le aree abitate dai curdi e sotto il controllo del PKK in Turchia e Iraq e delle YPG in Siria.

Sono ormai 5 giorni consecutivi che in Turchia si combatte una guerra aperta. Attacchi, arresti di massa, omicidi e violenza continuano a susseguirsi in questi giorni. E alla Turchia si allea la NATO e gli USA. Con la scusa di un attacco nei confronti del tanto temuto Daesh, da sempre sostenuto dal governo turco in maniera più o meno esplicita, si continuano a prendere di mira i curdi. A nulla è servito il cessate il fuoco lanciato dal leader Abdullah Öcalan il 21 marzo 2013 durante i festeggiamenti del Newroz, a nulla è servita la campagna democratica del HDP e del BDP (Partito della Pace e della Democrazia). In Turchia si rischia di tornare indietro di decenni, agli anni bui della repubblica dove violenza e repressione la facevano da padrone.

È da lungo tempo che l’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), in stretta collaborazione con il MİT (servizi segreti turchi) sta pianificando gli attacchi ai curdi. Ciò è dimostrato dall’aumento esponenziale di acquisti di materiale bellico, carri armati, veicoli blindati ed esplosivi che sono stati trasferiti nelle aree curde nei primi quattro mesi di questo anno. Sono stati diversi gli attacchi armati e le violenze nel corso degli ultimi mesi, tra cui in risalto vanno messi l’attacco ad Amed (Diyarbakır, capitale del Kurdistan turco) del 5 giugno e l’attentato di Suruç del 20 luglio.

L’attentato di Amed, appena due giorni prima le elezioni, durante il comizio del leader del HDP Selahattin Demirtaş, ha causato la morte di 4 persone e il ferimento di centinaia di civili accorsi all’incontro in piazza, durante il quale è scoppiata una bomba nascosta in un cestino della spazzatura. Il secondo attentato a Suruç ha, invece, causato la morte di 32 giovani socialisti e il ferimento di altri 104 giunti a Suruç da tutta la Turchia per sostenere la ricostruzione di Kobanê. Tutti giovanissimi, con tante idee e la volontà di aiutare i fratelli curdi dall’altra parte del confine, si trovavano riuniti nel centro culturale Amara per una conferenza stampa dopo che il governatore distrettuale di Urfa aveva loro negato di attraversare il confine in maniera legale.

Dalle indagini che seguono si suppone che i due attentatori si conoscessero, che provenissero entrambi da Adyiaman e che si fossero conosciuti nelle fila di Daesh. È con questo pretesto e con la giustificazione della necessità di una maggiore sicurezza dei propri confini e della popolazione che il governo turco ha dato via ad un offensiva che non si vedeva da anni in Turchia. In realtà, però, si è subito capito che l’obiettivo non erano certo i membri del Daesh, poiché su oltre 1000 arresti, una percentuale esigua riguarda membri o simpatizzanti del Daesh, mentre gli altri sono attivisti di sinistra, socialisti, esponenti del HDP e tanti civili curdi, la maggior parte ancora nelle carceri turche. Nel frattempo le manifestazioni di protesta si susseguono in tutto il paese, costantemente represse con l’utilizzo di TOMA, gas e violenza delle forze di sicurezza turche.

Le manifestazioni e i raggruppamenti di persone sono stati proibiti, come la marcia organizzata dal Barış Block per domenica 26 luglio ad Istanbul, vietata per motivi di sicurezza e perché il percorso scelto non rientra in quelli indicati idonei per tali manifestazioni. Negli ultimi 5 giorni sono stati oscurati centinaia di siti internet, tra cui le principali agenzie di stampa e informazione antagoniste all’AKP, sono stati chiusi profili Twitter e violata nuovamente le libertà di stampa. A tutto ciò si aggiunge il sostegno della Nato, giunto proprio ieri dopo la riunione tenutasi a Bruxelles richiesta da Ankara per il sostegno nella creazione di una zona cuscinetto di circa 90 km con la Siria.  Questo, secondo le dichiarazioni ufficiale di Ankara, impedirà il passaggio dei miliziani, così come garantirà maggiore sicurezza ai profughi siriani fuggiti negli ultimi anni dalla guerra nel loro paese e rifugiatisi in Turchia.

Ma la “zona sicura” non ha certo l’obiettivo di bloccare il Daesh, poiché il leader Erdoğan non ha mai pensato a ciò, dal momento che ha sempre garantito la libera circolazione nel suo territorio e lungo i suoi confini ai membri dell’organizzazione. L’obiettivo velato è indebolire le forze curde, impedire che l’esperienza del Rojava e di Kobanê possano raggiungere la Turchia e minacciare il poter incondizionato del nuovo Sultano turco. E la dimostrazione di ciò è la richiesta dell’AKP di togliere l’immunità a tutti i parlamentari che abbiano rapporti sospetti con il PKK. Un chiaro riferimento, questo, al HDP e al leader Selahattin Demirtaş.

Il Sultano Erdoğan non si arrende e combatte per mantenere il potere nelle sue mani. Ma questa volta il PKK ha ripreso le armi, il cessate il fuoco è stato interrotto e la guerra è ufficialmente iniziata. L’esperienza del Rojava e l’attività dei membri del PKK nel mettere in salvo migliaia di persone durante gli attacchi Daesh in Siria hanno risvegliato le coscienze dei curdi, che combatteranno, prenderanno nuovamente le armi e si stringeranno forte intorno al PKK, ai suoi guerriglieri e contro Ankara. La guerra è iniziata!

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