(Silvia Contu) – Sono sempre più freddi i rapporti tra Washington e il governo israeliano. A complicare le relazioni tra i due paesi è stata la notizia, rivelata poco prima della visita del vicepresidente americano Joe Biden in Israele, che Netanyahu si è rifiutato di incontrare Barack Obama. La Casa Bianca ha espresso “sorpresa” perchè la visita era destinata a dimostrare la forza di un’alleanza che l’accordo sul nucleare sembra però aver messo fortemente in crisi. Da Tel Aviv trapelano le notizie di un Netanyahu deluso dall’atteggiamento del presidente americano che, con la sua politica estera, ha legittimato Teheran a livello internazionale e ha messo a rischio la sicurezza di Israele.
Eppure Obama era riuscito a fissare un incontro con il premier israeliano il 18 marzo, poco prima della storica visita di Obama a Cuba il 21 e 22 marzo. Ufficialmente il gabinetto del premier ha giustificato la sua assenza con la volontà di non interferire nelle primarie per la presidenza degli Stati Uniti. L’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Ron Dermer, ha successivamente informato la Casa Bianca della decisione di Netanyahu che, secondo i programmi, avrebbe dovuto partecipare anche alla conferenza del pro-Israele lobby dell’AIPAC a Washington.
La giustificazione del premier israeliano non ha convinto lo staff di Obama, quasi divertito dal fatto che “l’ospite” si sia accorto delle primarie solo adesso. Netanyahu, pensano a Washington, non si è certo preoccupato di interferire nelle questioni interne statunitensi quando nel marzo del 2015 si è rivolto al Congresso per cercare di fermare l’accordo sul nucleare tra le grandi potenze e l’Iran. Una circostanza che non è sfuggita agli osservatori americani.
Le relazioni tra Usa e Israele negli ultimi anni si sono fortemente deteriorate e, al di là delle dichiarazioni di principio, è oramai noto che Obama consideri Netanyahu un ostacolo per la soluzione della questione palestinese. Fino a quando sarà al potere, ogni processo di pace in quella parte della regione appare improbabile. Il premier israeliano lo ha capito, sente il distacco di uno storico alleato e si rifiuta di fermare con Obama l’accordo sul rinnovo degli aiuti americani al suo paese. Ogni tentativo di convincerlo ad apporre la sua firma è fallito. Bibi, come viene chiamto il premier israeliano, preferisce fare affari con il prossimo presidente degli Stati Uniti. Che sia la Clinton o Trump poco importa. Nessuno, pensa il leader israeliano, può essere peggio dell’attuale inquilino della Casa Bianca.
Rapporti difficili che sono peggiorati negli ultimi 5 anni. L’arrivo di Biden nel marzo del 2010 ha infatti coinciso con l’annuncio da parte di Israele di voler costruire un insediamento di 1.600 case in un quartiere a Gerusalemme Est, la parte palestinese della città occupata e annessa da Israele. Washington, a differenza di quanto accadeva in passato, ha condannato con forza i nuovi insediamenti voluti da Tel Aviv considerando queste azioni uno dei principali ostacoli per la pace con i palestinesi. La visita di Biden in Israele è servita in qualche modo a ricucire uno strappo e ad affrontare una serie di questioni molto delicate per gli equilibri di tutta l’area: la situazione in Siria, la sicurezza di Israele, l’influenza iraniana nella regione, le minacce del terrorismo jihadista e, ovviamente, il conflitto israelo-palestinese. Malgrado le dichiarazioni di principio, i rapporti tra Usa e Israele rimangono molto tesi. E Biden, alla fine dell’incontro, non ha potuto nascondere le che i tra di due governi esistono “divergenze di opinioni”.