11 settembre 1973. L’eredità di Salvador Allende


Condividi su

(Federica Cannas) – Ogni 11 settembre, la memoria del Cile e quella del mondo convergono su un’immagine indelebile: le mura sventrate della Moneda, il fumo che sale sopra Santiago, la voce ferma di un presidente che, consapevole della fine, decide di consegnare al popolo il suo ultimo messaggio.

Quella mattina del 1973 vi fu l’assalto a un progetto di democrazia sociale che aveva cercato di aprire una via nuova, pacifica e popolare, verso il socialismo. Un progetto che sfidava gli equilibri del potere mondiale e che, proprio per questo, doveva essere soffocato. Le bombe sugli edifici istituzionali non furono soltanto l’espressione brutale della ferocia di Pinochet, sostenuto dagli Stati Uniti. Furono un monito rivolto a chiunque, nel mondo, osasse immaginare di cambiare le regole senza piegarsi alla logica dei blocchi, degli interessi economici, del potere arrogante che pretende di dettare il destino dei popoli.
Eppure, nel momento in cui la forza bruta cancellava con il fuoco e il piombo le conquiste della democrazia cilena, accadde qualcosa che nessun generale, nessun governo straniero, nessun piano di destabilizzazione poteva prevedere. La voce di Salvador Allende si fece immortale. Quel discorso pronunciato alla radio, in condizioni disperate, fu la proclamazione di una vittoria diversa, più alta, destinata a durare per sempre.

Allende parlò da uomo che guardava in faccia la morte e rifiutava di arrendersi. Parló da grande uomo. Ogni parola conteneva il coraggio di chi aveva scelto di affrontare quel tragico momento con estrema dignità. Ma in quelle parole c’era anche un sentimento più profondo. Un amore sconfinato per il suo popolo, la volontà di non lasciarlo solo nemmeno nell’ora più buia. Il suo ultimo messaggio fu un atto politico, ma anche un gesto di cura e di affetto, la conferma che la politica, quando è autentica, nasce sempre dall’amore. In quel momento Allende divenne il simbolo della dignità politica, della coerenza etica, della forza morale che resiste anche quando tutto sembra crollare.

Il mondo ascoltò, e continua ad ascoltare. Perché la memoria di Allende non è confinata alla storia cilena, non è solo dolore per ciò che fu strappato via con la violenza. È un’eredità che ancora oggi parla a chi non smette di credere nella democrazia, nella giustizia sociale, nella possibilità di trasformare il mondo senza ricorrere alla violenza né all’odio. È la dimostrazione che le idee, quando nascono dall’amore autentico per il proprio popolo, non conoscono sconfitta e continuano a vivere oltre ogni tentativo di cancellarle.

Ricordare oggi l’11 settembre cileno significa riconoscere che la memoria è antidoto contro l’oblio che alimenta le ingiustizie, è forza che rende vivi i valori che si volevano cancellare. Significa che Allende non appartiene solo al suo tempo ma al presente e al futuro, perché la sua scelta continua a parlarci di cosa significhi davvero essere liberi, coraggiosi, umani.

Il Cile di oggi vive ancora nell’ombra di quella data. Ogni generazione ha dovuto fare i conti con quella frattura. I figli cresciuti sotto la dittatura, i nipoti che hanno visto solo in seguito le immagini del bombardamento della Moneda, i giovani di oggi che scendono in piazza chiedendo una nuova Costituzione e diritti sociali più forti. In ogni manifestazione, in ogni grido che chiede uguaglianza, il nome di Allende ritorna come un punto di riferimento concreto, un simbolo di ciò che fu interrotto e che ancora oggi si tenta di portare a compimento.

Le piazze del Cile contemporaneo, dalle proteste studentesche del 2011 al grande movimento sociale del 2019, hanno ripreso il filo di quella storia spezzata. La stessa idea di una democrazia capace di dare sostanza concreta ai diritti, di farsi strumento di giustizia e di uguaglianza, è la prova che l’eredità di Allende resta viva, capace di rinnovarsi e di parlare a un popolo che non ha mai smesso di chiedere dignità e riscatto.

Eppure, la memoria di Allende non appartiene soltanto al Cile. La sua coerenza, il suo sacrificio, il suo ultimo discorso sono diventati patrimonio universale, un richiamo per chiunque lotti contro le disuguaglianze, per chiunque creda che la politica possa e debba essere un luogo di verità e amore.
Il Cile e il mondo intero continuano a vivere con quella voce nell’orecchio, con quella immagine nel cuore. Un uomo solo, in un palazzo in fiamme, che lascia al suo popolo un messaggio di fede nella storia e nella forza delle idee. La sua eredità non è fatta solo di coraggio e dignità, ma di un amore sconfinato. Amore per il Cile, per il suo popolo, per ogni donna e ogni uomo che sogna un mondo più libero, più giusto, più umano. Amore inteso come forza politica capace di dare senso alla democrazia, di rendere giusta la giustizia, di trasformare la libertà in spazio aperto di espressione per tutti. Salvador Allende ci ha insegnato che l’amore non è un aspetto secondario della politica, ne è la radice più autentica. Ed è questo il suo lascito universale, il suo dono più grande.

Allende rimane, oggi come allora, un hombre vertical. Non piegato, non corrotto, non sedotto dal potere. Un uomo che, nella solitudine più estrema, seppe parlare a milioni, lasciando parole che hanno attraversato il tempo. La sua azione fu brutalmente interrotta, ma non il senso della sua lotta. Il suo insegnamento non appartiene solo al Cile, ma a chiunque continui a credere che la dignità, la giustizia e l’amore possano cambiare il mondo.


Condividi su