
La sera del 24 marzo 1999 iniziava una delle pagine più controverse della storia recente europea: l’Operazione Allied Force. Per la prima volta dalla sua fondazione, la NATO agiva in assenza di un mandato delle Nazioni Unite, senza una minaccia diretta ai propri stati membri, lanciando una campagna militare contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, in particolare la Serbia.
Iniziò così una guerra aerea durata 78 giorni, che costò la vita a circa 2.500 civili, tra cui almeno 89 bambini. Aerei dell’Alleanza Atlantica colpirono ponti, convogli di autobus, treni passeggeri, centrali elettriche, fabbriche, ospedali, sedi delle telecomunicazioni. Anche l’ambasciata cinese a Belgrado fu bombardata da missili statunitensi, causando la morte di tre giornalisti cinesi. Un evento che generò una crisi diplomatica tra Washington e Pechino.
L’Italia, sotto il governo del premier Massimo D’Alema, con Sergio Mattarella vicepresidente del Consiglio, partecipò attivamente alla campagna: le basi italiane ospitarono mezzi e personale militare statunitense e NATO, trasformando la penisola in una piattaforma logistica e operativa per i bombardamenti. Il tutto, senza un voto parlamentare.
Fu l’esordio bellico della NATO nel dopoguerra, e anche un segnale di svolta nella politica estera italiana: da potenza mediterranea a partner strategico degli Stati Uniti in operazioni che, all’epoca, suscitarono proteste trasversali nel Paese. Molti intellettuali, giuristi e cittadini denunciarono la violazione del diritto internazionale e della Carta dell’ONU.
Il casus belli ufficiale fu la crisi del Kosovo, dove la repressione serba contro gli indipendentisti albanesi era in corso da anni. Tuttavia, la legittimità dell’intervento è rimasta oggetto di dibattito tra storici, analisti e giuristi. La Commissione d’inchiesta dell’ONU, nel 2000, riconobbe che l’intervento non rispettava la legalità formale, pur definendolo “legittimo” sul piano morale, alimentando una narrazione ambigua e divisiva.
Oggi, a 25 anni di distanza, le ferite di quel conflitto restano aperte. Belgrado ricorda ogni anno le vittime con cerimonie ufficiali. I parenti dei caduti, i sopravvissuti e i cittadini serbi continuano a chiedere giustizia e verità, mentre le cancellerie occidentali archiviano quell’intervento come un passaggio obbligato per “fermare una pulizia etnica”.
Ma resta una domanda di fondo: può un’alleanza militare agire come potere sovranazionale al di sopra delle Nazioni Unite? E quale responsabilità ha l’Europa quando si allinea, senza discussione, alle strategie degli Stati Uniti?
A 25 anni dall’Operazione Allied Force, è tempo di riflettere su cosa sia stato davvero quel conflitto: un atto umanitario o l’inizio della lunga stagione delle guerre “preventive” del nuovo millennio?
Per non dimenticare. La Pace è sempre una opzione.
(Raimondo Schiavone)