Il Cremlino ha smentito che durante il meeting con il segretario di Stato Usa John Kerry il presidente russo Vladimir Putin abbia detto che il presidente siriano Bashar al Assad dovrebbe poter correre alle future elezioni del Paese e che in quel caso le avrebbe certamente vinte. «Questa lettura non corrisponde alla realtà», ha detto il portavoce Dmitri Peskov interpellato da Interfax.
Fino a oggi la Russia ha ribadito che il futuro di Assad è nelle mani del popolo siriano e che le sue sorti politiche non possono essere decise dagli altri paesi, tanto meno in una fase in cui il primo obiettivo è la lotta al terrorismo. La precisazione del Cremlino, dunque, va letta in questa direzione: Putin e i suoi emissari si rifiutano di parlare di Assad in quanto non è il problema ma parte della soluzione di una crisi che da oltre quattro anni sta insanguinando il paese.
Intanto si apprende che sono 1579 i combattenti anti-Assad morti nei raid aerei lanciati dalla Russia in Siria dal 30 settembre a oggi: 655 sono i membri del sedicente Stato Islamico (Is), 924 altri combattenti, da quelli sostenuti dagli Usa ai jihadisti del Fronte al-Nusra legato ad al-Qaeda. La notizia, resa nota dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, non può essere verificata in modo indipendente. Secono l’organizzazione contraria al governo di Damasco e vicina all’opposizione, nel corso dei raid russi sarebbero morti anche 792 civili, tra i quali anche 180 bambini.
Le cifre indicate dagli attivisti anti governativi sono molto più alte rispetto a quelle fornite da Amnesty International che accusato la Russia di avere causato la morte di circa 200 civili. L’organizzazione internazionale ha stilato un rapporto basato su “ricerche a distanza”, in pratica colloqui telefonici e via internet con testimoni ed attivisti in diverse aree del Paese.
Mosca ha definito il testo di Amnesty come “molto vago” e ha respinto al mittente le accuse sull’utilizzo di bombe a grappolo nei raid, che secondo la Difesa russa, sarebbero assenti dalla base aerea di Khmeimim, nella provincia di Latakia. Il capo delle forze aerospaziali di Mosca, il generale Bondarev, ha ribadito che gli unici obiettivi che vengono colpiti dai raid russi in Siria sono obiettivi riconducibili a Daesh. L’alto ufficiale russo ha infine evidenziato l’altissimo livello di coordinamento dell’aviazione di Mosca con il governo siriano e con l’intelligence di Damasco, che tempestivamente fornisce alle forze russe impegnate nei teatri di operazione tutte le informazioni necessarie per evitare di colpire obiettivi civili.
Nella marea di numeri si aggiunge anche il rapporto stilato dalla Rete siriana per i diritti umani, un’organizzazione vicina all’opposizione armata che si descrive come un “organizzazione indipendente dei diritti umani che indaga e documenta tutte le violazioni commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano,” ed è registrata, esattamente come l’Osservatorio, nel Regno Unito. Il governo di Damasco ha accusato più volte l’organismo di diffondere notizie false, manipolando le cifre a vantaggio dei cosiddetti “ribelli”.
Secondo questa sigla, come riporta il Middle East Monitor, più di 21.000 persone sono state uccise nel conflitto in Siria nel 2015, la maggior parte delle quali civili. Secondo il rapporto, le forze governative sono state responsabili del 75 per cento delle vittime in Siria. Delle 15.748 persone uccise, una vasta maggioranza, circa 12.000, erano civili. Il trentotto per cento delle vittime civili erano donne e bambini, ha riferito il gruppo per i diritti umani. A confronto, Daesh è stato responsabile della morte di 2.098 persone, tra cui figurano 1.366 civili, mentre il Fronte al-Nusra, un gruppo affiliato di al Qaeda in Siria, è stato responsabile di almeno 167 morti, tra cui 89 civili.