Non ci saranno sanzioni nei confronti del governo di Damasco per l’uso di armi chimiche nel paese. Russia e Cina hanno infatti posto il veto alla risoluzione delle Nazioni Unite che prevedeva nuove misure contro la Siria accusata da una parte della comunità internazionale di aver utilizzato armi non convenzionali nel corso del conflitto che si protrae da circa 6 anni. La risoluzione, redatta da Regno Unito, Francia e Stati Uniti, ha ottenuto nove voti a favore e tre contrari, da Cina, Russia e Bolivia. Kazakistan, Etiopia ed Egitto si sono astenuti.
Non è la prima volta che Damasco viene accusata di questo crimine. Ciò è avvenuto quasi sempre su segnalazione dei gruppi armati dell’opposizione e non da fonti indipendenti. Le stesse fonti indipendenti, o presunte tali, spesso si sono avvalse di documentazione fornita dai cosiddetti gruppo ribelli (o “terroristi” secondo il governo siriano). Gruppi che, a loro volta, sono stati accusati di aver fatto un ampio uso di queste armi. Lo stesso dicasi per i miliziani jihadisti dello Stato Islamico e di al Qaeda in Siria.
Nello scorso agosto, alcuni reparti del Free Syrian Army avevano diffuso la notizia di un utilizzo di armi chimiche ad Aleppo fra gli inviati della stampa occidentale. Una notizia smentita da numerosi settori della società siriana. Hani Mourtada, ex rettore dell’Università di Damasco, durante la World Conference of University Rectors aveva difeso il governo siriano, accusando i ribelli di diffondere falsità e di alimentare il terrorismo in Siria.
Lo stesso Osservatorio siriano per i diritti umani, che in questi anni di guerra nel paese ha orchestrato una vera e propria campagna di disinformazione che ha nutrito i media di tutto il mondo, aveva confermato l’inattendibilità della notizia. Una rarità. Anche le agenzie di stampa, a partire da AP, avevano eccezionalmente smentito i bombardamenti con ordigni al cloro su Aleppo. Per non parlare delle numerose inchieste giornalistiche che hanno letteralmente smontato la tesi che in questi anni il governo siriano abbia fatto uso di armi di questo tipo, attribuendo semmai la responsabilità ai gruppi armati anti Assad, dai terroristi dell’ISIS fono ai cosiddetti ribelli moderati dell’Esercito Libero Siriano.
Malgrado ciò, l’Italia, attraverso Sebastiano Cardi, l’ambasciatore all’Onu, ha sponsorizzato la risoluzione presentata da Francia, Regno Unito e Stati Uniti: “Speravamo che l’unità del Consiglio sarebbe stata preservata a sostegno di questa risoluzione”, per la quale la delegazione italiana ha lavorato durante negoziati e consultazioni. Cardi si è detto comunque “incoraggiato” dal Meccanismo investigativo congiunto (Jim), che sta per riprendere le sue attività. L’Italia resta “fortemente impegnata” a sostenere un meccanismo adottato dal Consiglio stesso nell’agosto 2015 e volto a identificare i responsabili dell’uso di armi chimiche in Siria. Il nostro Paese intende “difendere le sue conclusioni nelle indagini future”.
Sono tre, secondo quanto affermato dall’ambasciatore Cardi, le ragioni per cui l’Italia ha votato a favore della risoluzione: prima di tutto perché condanna qualsiasi uso di armi chimiche, ovunque e da parte di chiunque. Poi, per sostenere la credibilità del Jim, che può fungere da deterrente. Infine perché non è sufficiente identificare i responsabili dell’uso di armi chimiche: quelli che lo hanno pianificato, ordinato e attuato “devono subirne le conseguenze”.
In realtà, la risoluzione era rivolta contro Assad e non, come sostenuto dall’ambasciatore italiano, contro i gruppi armati, anche jihadisti, supportati dall’Occidente, Italia compresa.
Non è la prima volta che Damasco viene accusata di questo crimine. Il fatto più noto risale al 21 agosto del 2013 quando venne utilizzato il gas nervino in alcune aree controllate dai ribelli nei sobborghi orientali e meridionali della capitale (Ghūṭa). I ribelli puntarono il dito verso il presidente Assad: la conferma dell’intelligence Usa servi alla Casa Bianca come pretesto per minacciare un’azione militare contro la Siria, bloccata soltanto grazie all’intervento della Russia di Putin e all’appello di Papa Francesco.
Qualche tempo dopo, l’autorevole istituto statunitense Mit di Boston rivelò con assoluta certezza che i missili ritrovati dagli ispettori Onu non erano stato lanciati da una zona controllata dal governo, bensì dagli stessi ribelli che si opponevano al governo. Una verità che gli Stati Uniti e i suoi alleati, sostenuti dalla stampa internazionale, non hanno mai preso in considerazione, preferendo supportare la tesi avanzata dai gruppi armati jihadisti che, nel frattempo, si erano macchiati di orrendi crimini nel paese.
Per non parlare del giornalista investigativo Seymour Hersh, già premio Pulitzer, che in due articoli pubblicati sulla London Review of Books ( “Di chi è il Sarin?” e “The Red Line e la Linea Rat”) ha scritto a chiare lettere che l’amministrazione Obama ha falsamente accusato il governo di siriano Bashar al-Assad per l’attacco del 2013, cercando una scusa per invadere la Siria. Secondo Hersh, il sarin utilizzato non proveniva neppure dai depositi sotto controllo governativo. Si tratterebbe, infatti, di gas proveniente dalla Libia, arrivato in Siria su ordine di Hillary Clinton allo scopo di destabilizzare il paese e creare finte prove contro Assad.
Anche il giornalista investigativo Christoph Lehmann il 7 ottobre 2013 titolava che “alti funzionari degli Stati Uniti e funzionari sauditi sono i responsabili delle armi chimiche in Siria”, riferendo, sulla base di fonti molto diverse da quelle utilizzate da Hersh, che “la prova conduce direttamente alla Casa Bianca, al presidente del Joint Chiefs of Staff Martin Dempsey, al direttore della CIA, John Brennan, e al capo Intelligence saudita, il principe Bandar, il ministero degli interni saudita”.
Le indagini svolte dalle Nazioni Unite dal 25 al 31 agosto 2013 hanno rivelato chiare tracce di gas sarin nel terreno e sui cadaveri nelle zone colpite, accertando che la tipologia della sostanza rinvenuta fosse quella contenuta nei depositi siriani, molti dei quali nel frattempo, però, erano entrati sotto il controllo dei gruppi armati anti governativi. Tutte verità che ancora oggi sfuggono all’opinione pubblica internazionale, destinataria di una mole impressionante di fake news che si sono rivelate la più micidiale arma di distruzione di massa per gli effetti che ha saputo produrre sul terreno di battaglia.
(P.D.)
Con fonti: AP, Askanews, Ansa, Reuters, Sana Agency, al Manar, Al Masdar, The Whashginton Post.