(Alessandro Aramu) – Donald Trump ha superato la linea rossa, quella che il suo predecessore, Barack Obama, non aveva osato oltrepassare: ha bombardato la Siria. Lo ha fatto pochi giorni dopo aver sostenuto che la sua amministrazione non avrebbe chiesto un passo indietro ad Assad. Il pretesto, noto, è il presunto attacco chimico che l’aviazione siriana avrebbe sferrato in un villaggio nella provincia di Idlib, ultima grande sacca di resistenza jihadista nel paese, totalmente in mano ai gruppi ribelli e ai gruppi guidati da al Qaeda.
La Casa Bianca sostiene di avere le prove che quell’attacco con armi convenzionali sia stato effettuato da Damasco – prove che non sono state mostrate in pubblico e che richiamano alla memoria le finte armi di distruzione di massa utilizzate in Iraq da Saddam Hussein – e per questa ragione ha ordinato di lanciare, da due navi di stanza nel Mediterraneo, 59 missili Tomahawk verso la base aerea siriana di Shayrat da cui si presume sia partito l’attacco chimico nella provincia di Idlib.
Secondo Damasco, un missile ha colpito il villaggio dove si trova la base, provocando la morte di 5 civili, tra cui tre bambini, mentre un altro missile “ha colpito il villaggio di Al-Hamrat, dove sono morti quattro civili, tra cui un bambino”. Altri sei civili sono rimasti feriti ad Al-Manzul, a circa quattro chilometri dalla base. Alle vittime civili vanno aggiunti sei militari.
Le immagini fornite dai media siriani dimostrano come la base sia stata fortemente danneggiata ma non completamente “polverizzata” come ha sostenuto il direttore del cosiddetto Osservatorio siriano per i diritti umani, Rami Abdel Rahman.
Nel frattempo, si è appreso un altro particolare: secondo la televisione satellitare libanese al Mayadeen, che cita fonti ritenute attendibili, il comando militare siriano avrebbe evacuato la maggior parte dei suoi aerei dalla base di al Shayrat “prima dell’aggressione americana, trasferendoli in una base militare sicura”. La stessa emittente ha aggiunto che “un numero di velivoli è stato comunque colpito”.
La notizia, che non siamo in grado di verificare, appare credibile se è vero, come afferma il Pentagono, che i militari russi di stanza nella base sarebbero stati avvertiti dell’imminente attacco 90 minuti prima del lancio dei missili dalle navi americane. Un tempo ritenuto sufficiente a mettere in sicurezza uomini e mezzi militari. L’emittente satellitare “al Arabiya” ha dichiarato che la base è di nuovo operativa e due caccia si sono già levati in volo per una serie di attacchi contro i gruppi armati anti- Assad. I raid sarebbero stati condotti nelle aree sotto controllo dei ribelli nella zona di Homs.
Se da quella base sono effettivamente partiti gli aerei con le bombe caricate con il cloro o addirittura il gas Sarin, non si capisce che fine abbiano fatto queste sostanze chimiche che, presumibilmente, almeno nella logica del Pentagono, erano stipate in quell’area. Nessuno ne ha parlato. Il che induce a credere che non ci fossero armi chimiche in quella base militare.
Non tutti sanno poi che da quella base militare, che si trova in una zona desertica, partono gli aerei che la Siria utilizza per combattere lo Stato Islamico nella parte orientale del paese. La distruzione di quella base è un enorme favore che Trump ha concesso ai terroristi dello Stato Islamico che, giustamente, hanno esultato per questa mossa azzardata dell’odiato nemico americano.
L’aggressione militare ordinata dal presidente americano ha l’effetto immediato di aiutare sul piano militare quei gruppi armati che la stessa amministrazione considera terroristi. E est del paese, con questo attacco, lo Stato Islamico può, nel giro di poche settimane, riconquistare il terreno perduto a seguito della massiccia compagna militare russo-siriana degli ultimi anni. Il disastro compiuto da Trump con questa azione vanifica gli sforzi per sconfiggere il terrorismo sul piano globale. E non è un caso che nelle ultime ore gli uomini del sedicente Califfato abbiano lanciato una nuova offensiva sulla città di Palmira, già martoriata dai terroristi.
Appare evidente, a questo punto, come l’attacco missilistico sia stato preparato nei minimi dettagli ben prima del presunto uso delle armi chimiche a Idlib, di cui, peraltro, si parlava ben prima che si verificasse. E’ evidente la regia comune di questa operazione: gruppi ribelli, servizi occidentali, Pentagono e Casa Bianca. Una regia che i media hanno sostenuto fino a provocare un’azione le cui conseguenze oggi sono imprevedibili. E in effetti l’attacco americano in Siria ricorda la situazione del 2003, quando gli Usa e la Gran Bretagna, con alcuni loro alleati, invasero l’Iraq con la compiacente eccitazione dell’informazione mondiale.
Da tutta questa vicenda l’unico a non trarre beneficio, come dimostrano i fatti, è il presidente siriano. Si può anche pensare che Assad sia un criminale ma non è certamente uno sprovveduto. E’ difficile pensare che abbia potuto commettere un errore così grossolano, inspiegabile dal punto della strategia sia politica che militare. Ecco perché la tesi della Casa Bianca è debole e poco convincente. Se però Assad avesse davvero commesso questo imperdonabile errore, è giusto che paghi le conseguenze di questa decisione e si assuma le responsabilità presenti e future di questa decisione.
Trump ha parlato di un intervento che tutela la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. E non si comprende in quale modo la Siria di Assad abbia mai pregiudicato la sicurezza americana in questi anni. Semmai, e non ci vuole alcun esperto per capirlo, l’iniziativa unilaterale degli Stati Uniti si colloca al di fuori del diritto internazionale e rappresenta a tutti gli effetti una violazione della sovranità di un altro stato.
Trump, dunque, mostra i muscoli e si giustifica dicendo: “Nessun bambino dovrebbe soffrire, come hanno sofferto quelli siriani”. Trump si dimentica di ricordare all’opinione pubblica mondiale che in Yemen i bombardamenti statunitensi e sauditi, unitamente al blocco navale, hanno provocato la più grande emergenza umanitaria al mondo: 4,5 milioni di persone a rischio fame e denutrizione, di cui 2 milioni di bambini destinati a morire perché mancano cibo e medicine. I dati sono dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La storia si ripete, dunque. I dubbi sull’attacco chimico da parte dall’aviazione siriana ci sono tutti anche perché è avvenuto in un’area, sotto controllo dei ribelli jihadisti, dove certamente vengono prodotte armi chimiche. La tesi della Casa Bianca, dunque, non convince e la sua risposta militare è il frutto di decisioni improvvise, avvenute senza consultare il Congresso (anche se in larga maggioranza sia repubblicani che democratici sembrano supportare l’iniziativa del presidente).
Trump si muove senza una strategia di lungo periodo, rispondendo esattamente alle richieste dei suoi elettori. E’ come se avesse detto: “Sono quello che avete votato, non stupitevi se un giorno bombardo la Siria e un altro, magari, la Corea del Nord”. Trump rispolvera una vecchia narrazione imperialista, restituendo agli Stati Uniti il ruolo di gendarme del mondo. Lo fa in un momento in cui dall’altra parte c’è una nazione, la Russia, che non gli concederà questa possibilità e che in Siria farà valere il peso della sua alleanza con Assad.
Trump ha superato la linea rossa. Un film già visto nella lunga storia dei crimini statunitensi sul piano internazionale. L’attacco alla Siria è la dimostrazione palese che un imbecille è spesso più pericoloso di un cattivo.
Foto: sputnik
Alessandro Aramu – Giornalista professionista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). Per il quotidiano La Stampa ha pubblicato il reportage “All’ombra del muro di Porta di Fatima”, sulla nuova barriera che divide Libano e Israele. È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014) con la prefazione di Alberto Negri. E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. Autore, insieme a Carlo Licheri, del docu -film “Storie di Migrantes” (2016). E’ Presidente del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria, responsabile delle relazioni internazionali del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo Onlus, Vice Presidente del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo della Sardegna.