a cura di Francesco Gori
Banche e associazioni finiscono nel mirino del governo tunisino per presunti legami con il terrorismo e poca chiarezza circa le loro fonti di finanziamento dall’estero. Il paese africano, dal quale proviene il più alto numero di combattenti stranieri che hanno messo piede in Siria e Iraq, continua a essere il teatro di numerose inchieste giudiziarie e di investigazioni internazionali. Con l’intensificarsi dei raid aerei russi e statunitensi e la stretta sulle frontiere verso i due Paesi arabi, molti jihadisti vengono dirottati in Libia. La Tunisia è l’ultima meta di questa peregrinazione del terrore. È non è un caso che sia stato proprio lo Stato islamico a rivendicare i due sanguinosi attentati compiuti in Tunisia nel 2016: a Susa e al Museo del Bardo, nella capitale.
Il livello di allerta è altissimo e le autorità nazionali sono impegnate in una massiccia opera di prevenzione e repressione del terrorismo. Per quanto riguarda il mondo delle associazioni, il governo ha decretato lo scioglimento di cinquanta Ong tunisine per non aver presentato sufficienti chiarimenti circa le loro fonti di finanziamento dall’estero. La Banca centrale della Tunisia (Bct) fornisce periodicamente delle segnalazioni sulle operazioni dall’estero a beneficio delle varie associazioni locali interessate. Lo stesso premier Youssef Chahed, in occasione di un incontro con i partiti firmatari dell’accordo di Cartagine, aveva dato un ultimatum di un mese a tutte le Ong locali perché rendessero noti i loro aiuti e finanziamenti provenienti dall’estero.
BANCHE: LE ACCUSE DEI LEGAMI CON IL TERRORISMO IN LIBIA
Ben più complessa invece è la situazione degli istituti di credito: l’inchiesta parte dalle dichiarazioni del portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), guidato dal generale Khalifa Haftar, il colonnello Ahmed al Mismari, secondo cui un ufficiale dei servizi segreti del Qatar avrebbe trasferito ingenti somme di denaro ai gruppi terroristici libici attraverso le banche della Tunisia. L’accusa è grave ed è per questo che il governo ha deciso di aprire un’inchiesta. Il ministro della Difesa tunisino, Farhat Horchani, nei giorni scorsi ha spiegato che la Tunisia prenderà tutte le misure necessarie per difendere la sicurezza nazionale se verrà dimostrata la veridicità di queste affermazioni.
Secondo Al Mismari, l’addetto militare del Qatar per i paesi del Maghreb con sede in Tunisia, colonnello Salem Ali Jarboui, avrebbe trasferito 8 miliardi di dollari dalla Qatar National Bank (Qbn Tunisia) alla filiale della Banque de l’Habitat (Bh), a Tataouine, regione meridionale tunisina al confine con la Libia. “Queste somme sono state messe a disposizione di ex criminali in seguito diventati alti funzionari del governo”, ha detto Al Mismari, alludendo ai funzionari del governo di accordo nazionale di Tripoli. Non solo: il portavoce di Haftar ha accusato l’addetto militare del Qatar “di pagare i capi delle tribù libiche e alcuni soldati tunisini”. Gli aerei carichi di armi dall’emirato del Golfo, in direzione Bengasi, sarebbero arrivati fin dall’inizio della cosiddetta primavera araba libica: agli oppositori di Gheddafi sarebbero arrivate armi molto sofisticate. Il ruolo di Doha non si sarebbe fermato qui: il Qatar infatti viene accusato ance di aver aiutato a nascondere combattenti armati libici tra le montagne e il deserto algerino nel territorio controllato da Mokhtar Belmokhtar, famigerato terrorista algerino noto come “Mister Marlboro” per i suoi trascorsi nel contrabbando di sigarette. Tra le centinaia di terroristici libici che hanno trovato rifugio in queste montagne ci sarebbe anche Anis al Houthi, un membro di Al Qaeda responsabile di diversi omicidi in Libia e in particolare a Bengasi, e che è stato ucciso.
TUNISIA FUCINA DEI NUOVI JIHADISTI
Dopo la rivoluzione del 2011, alcuni estremisti religiosi hanno approfittato delle nuove libertà e di un vuoto nella sicurezza per radicalizzare una nuova generazione di giovani. Secondo l’Onu, oltre migliaia di tunisini (tra i 4-5 mila) hanno aderito allo Stato Islamico e ad altri gruppi armati jihadisti in Siria e in Iraq. Altri mille, forse 1.500, sono andati a combattere in Libia. Molti d questi combattenti sono originari di Ben Guerdane, città nella Tunisia sudoccidentale, uno snodo sulla rotta del contrabbando distante poche decine di chilometri dal confine libico. Ben Guerdane è considerata l’incubatrice del jihadismo tunisino. Il fatto che non sia stata catturata dai militanti dello Stato Islamico è stata una vittoria per la Tunisia: “È ormai chiaro che la Libia è una minaccia per noi”, ha affermato Mohamed Maali, capo del dipartimento anti-terrorismo della Tunisia. “Con i combattenti del Califfato sotto pressione in Siria, la nuova destinazione è la Libia, dove purtroppo non c’è alcuna autorità. Per loro, è il paradiso”. Nel corso degli ultimi 30 anni, centinaia di ragazzi hanno lasciato Ben Guerdane per unirsi ai gruppi jihadisti in Iraq, Afghanistan e Bosnia. Le loro abilità in combattimento sono così apprezzate che Abu Musab al-Zarqawi, il defunto leader di al-Qaida in Iraq, un giorno disse: “Se Ben Guerdane si fosse trovata vicino a Falluja, avremmo liberato l’Iraq”.
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