(Raimondo Schiavone) – L’interesse degli Stati Uniti per la Groenlandia, emerso con particolare evidenza durante l’amministrazione Trump, affonda le sue radici in considerazioni geopolitiche, economiche e strategiche di lungo termine. La recente proposta di acquisizione dell’isola ha sollevato interrogativi sulle motivazioni che spingono Washington a desiderare il controllo di questo vasto territorio artico.
La Groenlandia occupa una posizione chiave nell’Artico, una regione di crescente importanza geopolitica. Con l’aumento delle temperature globali e il conseguente scioglimento dei ghiacci, si stanno aprendo nuove rotte marittime che riducono significativamente i tempi di navigazione tra l’Europa, l’Asia e il Nord America. Il controllo o l’influenza su queste rotte rappresenta un vantaggio strategico per gli Stati Uniti, sia in termini commerciali che militari.
Inoltre, la presenza della base aerea di Thule nel nord-ovest dell’isola, operativa sin dalla Seconda Guerra Mondiale, sottolinea l’importanza militare della Groenlandia per gli Stati Uniti. Questa installazione svolge un ruolo cruciale nel sistema di allerta precoce contro i missili balistici e nelle operazioni di sorveglianza spaziale.
La Groenlandia è ricca di risorse naturali, molte delle quali ancora inesplorate. Tra queste si annoverano giacimenti di terre rare, petrolio, gas naturale e minerali preziosi. Il riscaldamento globale sta rendendo più accessibili queste risorse, aumentando l’interesse economico per l’isola. Per gli Stati Uniti, assicurarsi l’accesso a tali risorse potrebbe ridurre la dipendenza da fornitori esteri, in particolare dalla Cina, che attualmente domina il mercato delle terre rare.
Negli ultimi anni, sia la Cina che la Russia hanno manifestato un crescente interesse per l’Artico. La Cina, ad esempio, ha cercato di investire in progetti minerari e infrastrutturali in Groenlandia, mentre la Russia ha ampliato la sua presenza militare nella regione. Per gli Stati Uniti, rafforzare la propria posizione in Groenlandia rappresenta una strategia per contenere l’influenza di queste potenze rivali nell’Artico e garantire la sicurezza nazionale.
La proposta di acquisizione della Groenlandia da parte degli Stati Uniti ha incontrato una ferma opposizione da parte della Danimarca, di cui l’isola è territorio autonomo, e delle autorità groenlandesi stesse. Il primo ministro danese, Mette Frederiksen, ha dichiarato che “la Groenlandia non è in vendita”, sottolineando il diritto all’autodeterminazione del popolo groenlandese.
Ma la questione non è solo diplomatica. L’obiettivo statunitense dimostra ancora una volta la prepotenza di questo paese, che da quando è nato ha sempre tentato di accrescere la propria potenza economica e politica a spese degli altri, spesso usando le armi o la tecnica della destabilizzazione. Gli Stati Uniti hanno sempre visto con ostilità qualsiasi movimento indipendentista o autonomista che potesse mettere in discussione la loro influenza globale, e la Groenlandia non fa eccezione.
L’isola, infatti, ospita diversi movimenti indipendentisti che spingono per una maggiore autonomia da Copenaghen e, in prospettiva, per l’indipendenza totale. Questa prospettiva spaventa Washington, che teme che un’eventuale Groenlandia indipendente possa sfuggire alla sua sfera d’influenza e aprire le porte a investimenti e alleanze con Cina e Russia.
Gli Stati Uniti sanno bene che non potranno mai acquistare la Groenlandia come una semplice transazione immobiliare, ma potrebbero comunque tentare di influenzarne il futuro attraverso pressioni politiche ed economiche. Se la storia insegna qualcosa, è che quando gli Stati Uniti vogliono qualcosa, spesso non esitano a usare mezzi poco trasparenti per ottenerla.