Siria, nuovi raid aerei di Israele che attacca Al Jolani: è soltanto un terrorista


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L’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito a Damasco un «centro di comando appartenente al gruppo terroristico palestinese della Jihad Islamica». L’attacco, avvenuto nel sobborgo di Douma a nord-ovest della capitale siriana, è stato confermato da fonti dell’organizzazione armata alleata di Hamas, che ha riferito di «morti e feriti». Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, l’aviazione israeliana ha lanciato due missili contro un edificio situato in un quartiere abitato da leader palestinesi, causando almeno una vittima accertata.

Mentre la tensione cresce nella capitale siriana, il paese è scosso da violenti scontri interni. Migliaia di abitanti di Damasco si sono radunati nei giorni scorsi in piazza Al-Marjeh per protestare contro le stragi di civili alawiti nelle regioni costiere, una nuova ondata di violenze che ha riacceso timori e divisioni. Tre mesi dopo la fine del regime di Bashar al-Assad, le forze islamiste ora al potere, guidate dal nuovo presidente provvisorio Ahmed Al Sharaa (Al-Jolani) , sono accusate di portare avanti un’ondata di repressione su larga scala contro le minoranze religiose, inclusi alawiti e drusi.

Israele contro il nuovo governo siriano: “Al Jolani è un terrorista di al-Qaida”

Israele segue da vicino gli sviluppi in Siria e non nasconde le sue preoccupazioni. Numerosi esponenti di governo, politici e osservatori israeliani hanno espresso forti riserve sul nuovo assetto del paese, accusando l’autoproclamato presidente Ahmed Al Sharaa (nome di battaglia Al -Jolani) di essere un terrorista travestito da moderato. Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato che il nuovo leader siriano «ha tolto la maschera e ha mostrato il suo vero volto: un terrorista jihadista della scuola di al-Qaida, responsabile di atti orribili contro i civili».

L’esponente del gabinetto israeliano ha avvertito il presidente siriano: «Ovunque venga organizzata un’attività terroristica contro Israele, il leader islamico estremista al-Jolani troverà gli aerei dell’aeronautica militare che volano e colpiscono obiettivi terroristici», usando il nome di battaglia di Sharaa. «Il terrorismo islamico non avrà immunità né a Damasco né altrove».

La situazione è resa ancora più delicata dalla crescente instabilità nelle regioni costiere siriane, dove si sono registrati massacri contro la popolazione alawita. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha parlato di una «catastrofe umanitaria», denunciando le azioni milizie sunnite governative e da bande di jihadisti, anche stranieri, che hanno compiuto esecuzioni sommarie, incendi, saccheggi e deportazioni.

Il numero di civili alawiti uccisi è di quasi 1.500 persone, tra cui donne e bambini. Sono stati giustiziati sommariamente, bastonati a morte, colpiti alla testa con armi da fuoco e uccisi in altri modi in 47 località diverse nelle regioni costiere di Latakia e Tartus e nell’entroterra tra Hama e Homs. Un bagno di sangue di cui si conosceranno le dimensioni reali solo più avanti, o forse mai.

Mentre il governo di Damasco minimizza l’accaduto, sostenendo che si tratti di operazioni militari contro elementi legati all’ex regime di Assad, numerose testimonianze raccolte sul campo confermano l’esistenza di una vera e propria «caccia agli infedeli». Un abitante di Baniyas ha raccontato a un’agenzia di stampa: «Entrano casa per casa e uccidono chiunque vi sia all’interno. Non sono solo siriani, ci sono anche combattenti provenienti da altri paesi, sembrano caucasici e cinesi».

La posizione strategica di Israele e il dilemma dei drusi

A trarre vantaggio dall’instabilità siriana è sicuramente Israele, che ha progressivamente rafforzato la sua presenza lungo il confine con la Siria. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato di essere pronto a un intervento armato per «proteggere» la comunità drusa, tradizionalmente ostile all’influenza islamista. Tuttavia, i drusi del Golan, che si considerano siriani sotto occupazione israeliana dal 1967, rifiutano qualsiasi coinvolgimento israeliano.

«Israele era e resta un paese nemico per i siriani, quindi anche per i drusi» afferma Hassan Sham, giornalista di Majdal Shams, il principale centro abitato druso sulle alture del Golan. Un ricercatore del centro per i diritti umani Marsad denuncia inoltre che Israele sta espandendo il suo controllo in Siria meridionale, costruendo postazioni permanenti, barriere e nuove strade per i mezzi militari. Del resto, se è vero che la spinta che ha fatto cadere Assad è partita dal nord, è da Suwayda e Daraa che è arrivato il colpo di grazia per il regime. Qui le milizie druse si sono riunite in una “cabina di regia” parallela a quella di Hts.

«Una quindicina di villaggi sono ora sotto il suo controllo e le popolazioni locali affrontano restrizioni sempre più dure», spiega il ricercatore Nazeh Bareik. Secondo lui, Tel Aviv sta cercando di replicare il modello della fascia di sicurezza creata nel sud del Libano tra il 1978 e il 2000, una strategia che punta a consolidare un’area cuscinetto lungo il confine.

Israele sta anche offrendo incentivi economici per stringere legami con la popolazione locale. Si parla di salari di 100 dollari al giorno per lavorare nelle colonie ebraiche del Golan, un’offerta allettante per chi vive in una Siria devastata dalla guerra e dall’insicurezza economica.

Ma le divisioni interne alla comunità drusa si fanno sentire. Se prima la maggior parte rifiutava l’offerta di protezione israeliana, oggi, dopo i massacri di alawiti e il crescente clima di panico, alcuni iniziano a considerare la possibilità di un avvicinamento a Israele come una soluzione di sopravvivenza. Peraltro il rapporto tra i drusi e Israele è consolidato da tempo: la Knesset ha persino approvato l’istituzione di una giornata dedicata alla minoranza drusa nel paese (il 1 marzo) per rendere omaggio al contributo dato alla vita di Israele.

Uno scenario sempre più incerto

Mentre la Siria sprofonda in un nuovo capitolo di violenza settaria, Israele continua a monitorare la situazione, pronto a intervenire se le tensioni dovessero minacciare i propri interessi strategici. La recente offensiva contro la Jihad Islamica a Damasco è un chiaro segnale che Tel Aviv non intende abbassare la guardia di fronte alle nuove dinamiche di potere nella regione.

Con un presidente siriano ritenuto da Israele un pericoloso estremista e con l’ascesa delle milizie islamiste nel paese, la possibilità di un conflitto più ampio diventa sempre più concreta. Lo scontro tra potenze regionali e gruppi armati sembra destinato a infiammare ulteriormente un Medio Oriente già segnato da profonde fratture politiche e religiose.


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