Il fallimento della democratizzazione nel mondo arabo: un’illusione occidentale


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(Raimondo Schiavone) – La Tunisia, un tempo simbolo della democratizzazione nel mondo arabo, ha chiuso definitivamente il capitolo delle Primavere arabe. Kais Saied, sfruttando la crisi economica e il malcontento popolare, ha progressivamente accentrato il potere, sospendendo il Parlamento nel 2021, governando per decreto e reprimendo ogni forma di opposizione. L’arresto di politici e giornalisti, la censura della stampa e la disillusione generale hanno riportato il Paese a una forma di governo che richiama i tempi di Ben Ali.

La Tunisia non è un caso isolato, ma l’ennesima dimostrazione che la democrazia, così come intesa dall’Occidente, non ha attecchito nel mondo arabo. La regione è tornata sotto regimi autoritari o è sprofondata nel caos, lasciando sul campo la retorica delle Primavere arabe.

Se la Tunisia ha vissuto un periodo di transizione prima del ritorno all’autoritarismo, l’Egitto non ha mai davvero avuto una chance di cambiamento. Dopo la caduta di Mubarak nel 2011 e la breve parentesi della Fratellanza Musulmana con Mohamed Morsi, il golpe del 2013 ha riportato il Paese sotto il controllo di un leader forte: Abdel Fattah Al-Sisi.

Oggi l’Egitto è uno dei regimi più repressivi della regione: le libertà civili sono state annullate, i media sono controllati e le elezioni sono una pura formalità. La stabilità è stata raggiunta, ma al prezzo della totale assenza di democrazia. Eppure, per la comunità internazionale, Al-Sisi resta un partner imprescindibile per la sua funzione di stabilizzatore regionale.

Se l’Egitto è retto da un regime militare, l’Algeria continua a essere dominata dall’élite politico-militare che ha represso il movimento dell’Hirak del 2019. La presunta transizione dopo la caduta di Bouteflika si è rivelata un’operazione di facciata, con un sistema che ha semplicemente rinnovato i suoi volti senza alterare gli equilibri di potere.

Il Marocco, pur presentandosi come una monarchia costituzionale, mantiene un potere saldamente accentrato nelle mani del re Mohammed VI. Il pluralismo politico esiste solo in teoria, mentre la repressione del dissenso dimostra che il controllo dello Stato resta assoluto.

Se Algeria, Marocco ed Egitto hanno almeno conservato una struttura statale funzionante, la Libia è il più grande fallimento dell’intervento occidentale. La caduta di Gheddafi nel 2011, sostenuta dalla NATO, ha lasciato un vuoto di potere che nessuna forza politica è riuscita a colmare. Oggi la Libia è divisa tra milizie, governi rivali e ingerenze straniere, dalla Turchia alla Russia.

La Siria, un tempo un baluardo della laicità nel mondo arabo, è stata distrutta da una guerra civile che ha favorito il fondamentalismo e le ingerenze esterne. L’Occidente ha preteso di esportare la democrazia, ma ha solo contribuito a devastare un Paese che, pur con un regime autoritario, garantiva stabilità e pluralismo religioso.

Il Libano è un caso emblematico di paralisi politica e collasso economico. Il Paese è soffocato da una crisi senza precedenti: la moneta si è svalutata al punto da diventare quasi inutile, la popolazione vive in condizioni disperate e il governo è incapace di attuare riforme.

A peggiorare la situazione c’è la pressione costante di Israele, che mantiene il Libano in una condizione di instabilità cronica attraverso continue tensioni ai confini, interventi militari e una strategia di soffocamento economico. Il risultato è un Paese in agonia, incapace di risollevarsi.

La lezione è chiara: il modello democratico occidentale non è applicabile in Nord Africa e Medio Oriente. L’idea che la democrazia sia un valore universale esportabile ovunque si è rivelata una chimera. Le esperienze degli ultimi decenni dimostrano che i tentativi di democratizzazione imposti dall’esterno hanno portato solo a due esiti: o il ritorno dell’autoritarismo o il caos totale.

L’Occidente deve arrendersi all’evidenza e smettere di voler esportare modelli corrotti, nati da sistemi di potere che si sono evoluti nel corso di secoli di storia e che non possono essere semplicemente trasferiti altrove. Il mondo arabo ha le sue dinamiche, le sue strutture sociali e i suoi equilibri, e ogni tentativo di forzarli con interventi esterni non ha fatto altro che peggiorare la situazione.

È il momento di abbandonare l’illusione della democrazia imposta e accettare che la stabilità non si costruisce con modelli preconfezionati, ma con processi interni, rispettando le specificità storiche e culturali di ogni Paese.


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