Sudamerica, sovranità e verità


(Federica Cannas) – Nessun giro di parole. Il 10 luglio, durante il vertice sulla crisi di Gaza a Bogotá, Gustavo Petro ha annunciato che la Colombia rinuncerà allo status di “partner globale della NATO”, unico paese latinoamericano ad averlo conseguito nel 2017. Ha parlato con forza. “Non c’è altra via”, ha detto, attribuendo agli Alleati occidentali complicità nel sostegno a “bombardamenti su bambini”, perché “il carbone colombiano non può diventare arma contro civili innocenti”.
Se qualcuno pensava a una provocazione mediatica, si sbagliava. “Sono parole dure ma necessarie”, ha sottolineato durante la conferenza.

Il 17 luglio, Lula da Silva ha colto l’occasione dell’ondata di dazi annunciati da Trump, al 50% su acciaio e alcuni beni brasiliani,per ribadire che “ Il Brasile non sarà trattato come una colonia”. Ha accusato Washington di “ricatto inaccettabile” sul caso Bolsonaro, e ha definito “veri traditori della patria” quei politici brasiliani che sostengono forzature esterne sul processo a Bolsonaro, analogamente all’assalto al Congresso di gennaio 2023. Il presidente ha ribadito, “ è un attacco alla sovranità del Brasile”.

Il giorno precedente il governo aveva già diffuso un video, con lo slogan “Brasil Soberano”, perché il Brasile appartiene ai brasiliani”.Un linguaggio forte, semplice, con un Brasile che sceglie di stare in piedi.
Due presidenti, un solo messaggio. Il Sudamerica si sta staccando dall’ordine imposto dall’Occidente.
La Colombia spezza con la NATO. Il Brasile non accetta dazi ricattatori né interferenze sull’indipendenza della giustizia. Entrambi rifiutano alleanze calate dall’esterno, o peggio, malcelate da accordi geopolitici.

Nel frattempo l’Europa resta sullo sfondo, impacciata, attenta a mantenere equilibri. Eppure, proprio mentre l’unione europea dialoga con prudenza, Bolsonaro e Trump usano leve economiche per difendere alleati interni o imporre condizionamenti, il Sud risponde con parole e fatti. La Colombia spinge per la “pace totale”. Il Brasile, tra dazi, appoggio al dialogo globale, vedi Ucraina e Gaza, e rifiuto esplicito di colpi esterni, costruisce una narrazione solida di potenza regionale, autorevole. È una frattura culturale e diplomatica.

Una crepa che si apre nell’architettura del mondo post-Guerra Fredda, e si sta spalancando proprio in quei Paesi che conoscono bene il sapore amaro delle ingerenze, delle imposizioni, delle minacce mascherate da cooperazione.
Il Sudamerica ha rimesso al centro la sovranità e ora ne mostra i contorni. Rispetto, autodeterminazione, ruolo attivo nei forum multilaterali, e la volontà di non essere più soggetto passivo di imposizioni di strategie scritte altrove.
Se c’è un luogo dove oggi si inventa una nuova grammatica della politica internazionale, quel luogo è l’America Latina. Chi pensava che l’ordine fosse immutabile, sta iniziando a fare i conti con un continente che non ha più intenzione di essere il destinatario passivo delle decisioni altrui. Non è un’eccezione. Potrebbe essere il segnale di un nuovo inizio.