C’è qualcosa di profondamente malato nella memoria politica dell’Occidente. La Francia, Paese che ha pianto 130 morti nella notte più buia del suo dopoguerra, quella del 13 novembre 2015, accoglie oggi con rispetto diplomatico il presidente siriano Ahmad al-Shara, noto con il nome di battaglia di Abu Mohammad al-Jolani, capo dell’allora Fronte al-Nusra — una delle sigle madri del terrorismo jihadista siriano — che negli stessi anni combatteva al fianco e spesso in competizione con lo Stato Islamico di al-Baghdadi. Due facce della stessa ideologia, due bracci armati della stessa furia fondamentalista che portò il terrore a Parigi, al Bataclan, ai bistrot, allo Stade de France.
Non si tratta di un dettaglio. Al-Jolani fu emissario di al-Qaeda in Siria, poi fondatore di Jabhat al-Nusra, struttura che collaborava logisticamente con l’ISIS nelle prime fasi della guerra siriana. È parte di quel network che fornì uomini, armi e propaganda a una rete jihadista globale che colpì anche l’Europa. Non serve un atto giudiziario per definire la sua responsabilità politica e morale: basta la cronologia.
Eppure, nel 2025, la stessa Francia che emette un mandato d’arresto internazionale contro Bashar al-Assad per i crimini di guerra di Ghouta, riceve delegazioni provenienti dall’area siriana controllata da al-Jolani, in una logica di “dialogo umanitario” o “realismo strategico”. La diplomazia la chiama apertura pragmatica, ma per chi ricorda le urla e il sangue del Bataclan, suona come un tradimento della memoria. È ancora più grave se si considera che la cosiddetta “strage di Ghouta”, alla base di quel mandato, si è rivelata essere una delle più grandi fake news della guerra siriana. Indagini indipendenti, giornalisti sul campo e numerosi analisti hanno documentato come i missili al sarin non provenissero dalle forze governative ma dalle aree controllate dai gruppi jihadisti, tra cui proprio al-Nusra, la rete legata a Al-Jolani.
Lo scrivevo già nel libro “Syria. Quello che i media non dicono” (Arkadia Editore), quando raccontavo i giorni di quella propaganda che cambiò la percezione internazionale del conflitto: un’operazione mediatica perfetta, costruita per criminalizzare Damasco e fornire legittimità politica ai ribelli, molti dei quali erano gli stessi che oggi vengono definiti “interlocutori per la ricostruzione”. La storia è testarda, ma la politica ha la memoria corta.
La notte del Bataclan non fu una semplice strage. Fu un’esecuzione collettiva. Novanta ragazzi e ragazze intrappolati in una sala concerti, falciati dai kalashnikov di un commando jihadista. Centotrenta morti in tutta la città. Corpi ammucchiati, telefoni che squillavano tra i cadaveri, il sangue che colava lungo le scale di emergenza. Un massacro firmato dallo stesso mondo ideologico che in Siria faceva saltare scuole, ospedali e mercati gridando “Allahu Akbar”. Quel mondo aveva nomi e capi. E uno di quei capi si chiamava Abu Mohammad al-Jolani.
Non è necessario che abbia premuto il grilletto o inviato un ordine scritto: la catena di complicità ideologica e militare è chiara a chiunque studi la genesi del jihadismo. L’ISIS e al-Nusra nacquero dallo stesso ventre, dalla stessa miscela di fanatismo e finanziamenti che dal 2012 al 2015 ricevettero sostegni, diretti o indiretti, da parte di Paesi oggi partner dell’Occidente. Quando un Paese che ha conosciuto il martirio del terrorismo islamista apre le porte a chi ne fu l’architetto morale, non si tratta di diplomazia, ma di ipocrisia istituzionalizzata. Si può dialogare con chiunque, dicono gli strateghi. Ma non si può decorare la menzogna con l’etichetta della pace. Chi accoglie oggi al-Jolani — con il pretesto di sostenere la ricostruzione o contrastare l’influenza iraniana — dimentica che i suoi miliziani impiccarono civili nelle piazze di Aleppo, lapidarono donne, usarono i bambini come scudi umani. E che da quel pantano di odio nacquero gli attentatori di Parigi.
Il 13 novembre 2015 non è solo una data: è una ferita nel corpo dell’Europa. Le famiglie delle vittime non hanno dimenticato. Ma i governi sì. Perché in politica internazionale la memoria pesa finché non interferisce con un contratto di gas, una base militare o un corridoio energetico. È lo stesso meccanismo che consente di emettere mandati contro Assad da un lato e onorare al-Jolani dall’altro. Due nemici di ieri, trasformati in pedine di oggi. Un Paese che dimentica il sangue dei suoi figli per negoziare con i carnefici non è forte: è moralmente sconfitto. La Francia, culla dei diritti umani, rischia di diventare il simbolo dell’oblio selettivo dell’Occidente. Perché mentre la giustizia scrive i mandati, la diplomazia cancella la memoria. E il Bataclan — con i suoi novanta corpi senza vita stesi sotto la bandiera della Repubblica — resta lì, a ricordarci che la coerenza non è un lusso, ma un dovere.
Raimondo Schiavone



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