 
		
		(Federica Cannas) – All’alba del 28 ottobre 2025, Rio de Janeiro si è svegliata in uno scenario di guerra. Nel cuore delle favelas del Complexo do Alemão e del Complexo da Penha, la polizia militare e le forze speciali hanno lanciato un’operazione di proporzioni mai viste, ribattezzata Operação Contenção. L’obiettivo: colpire duramente il Comando Vermelho, la più potente organizzazione criminale della città, responsabile di traffici di droga, armi e violenze diffuse.
Più di 2.500 agenti impegnati, elicotteri, mezzi blindati, posti di blocco, interi quartieri isolati. Il bilancio è drammatico: oltre sessanta morti e più di ottanta arresti, secondo le prime fonti ufficiali. Ma i numeri, da soli, non bastano a raccontare il clima di terrore che si è diffuso nelle ore dell’assalto. Le prime sparatorie sono cominciate prima dell’alba. Raffiche di mitra, esplosioni, incendi. I narcotrafficanti hanno risposto bloccando le strade, incendiando autobus e veicoli.



Le scuole sono rimaste chiuse, i residenti intrappolati nelle case. I soccorsi non riuscivano a entrare, e in alcune zone la corrente è saltata. Le immagini circolate sui social mostrano corpi sull’asfalto, il fumo che sale dai vicoli, famiglie terrorizzate. Le favelas, da sempre teatro di conflitti, si sono trasformate in un campo di battaglia.
A poche ore dai fatti, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha pubblicato un messaggio ufficiale sui suoi canali social, accompagnato da un video, in cui ha preso posizione con fermezza. “Questa mattina ho incontrato i ministri del mio governo e ho deciso che il ministro della Giustizia e il direttore generale della Polizia federale andassero a Rio per incontrare il governatore. Non possiamo accettare che la criminalità organizzata continui a distruggere famiglie, opprimere i residenti e diffondere droga e violenza nelle città. Abbiamo bisogno di un lavoro coordinato che colpisca la spina dorsale del traffico senza mettere a rischio poliziotti, bambini e famiglie innocenti.” Con queste parole, Lula ha voluto ribadire due punti cruciali: la necessità di un approccio unitario tra governo federale e governi statali, e la condanna di ogni operazione che esponga la popolazione civile al pericolo.

Il presidente ha poi ricordato che in agosto il suo governo aveva già condotto la più grande operazione federale contro la criminalità organizzata nella storia del Brasile, centrata sul riciclaggio e sulla corruzione finanziaria delle reti di narcotraffico. “Con l’approvazione della PEC della Sicurezza, che abbiamo inviato al Congresso Nazionale – ha aggiunto – garantiremo che le diverse forze di polizia agiscano congiuntamente nel contrasto alle fazioni criminali.”
Il tono del messaggio è di forte richiamo all’ordine istituzionale e al rispetto della vita civile: “La sicurezza deve essere costruita con intelligenza, non con caos e sangue”, ha concluso Lula nel video. Le parole del presidente hanno aperto un fronte politico delicato.
Il governatore di Rio, Cláudio Castro, ha difeso l’operazione definendola “necessaria e riuscita”, sostenendo che “il crimine non può più dettare legge”. Ma Lula ha sottolineato che nessun risultato può giustificare un’azione non coordinata e potenzialmente letale per i civili.
Dietro lo scontro si cela una questione più ampia: il rapporto di potere tra lo Stato federale e le amministrazioni locali in materia di sicurezza pubblica. In Brasile, le polizie militari dipendono dai governi statali, e spesso agiscono con autonomia quasi totale, anche in operazioni di grande scala. E nel caso di Rio, la frattura è anche politica. Castro è considerato vicino all’ex presidente Jair Bolsonaro, e la sua gestione della sicurezza è da tempo nel mirino delle organizzazioni per i diritti umani. Le sue recenti dichiarazioni contro il governo federale di Lula da Silva – accusato di “fare troppo poco contro la criminalità” – hanno aggiunto benzina sul fuoco.
L’amministrazione Lula ha replicato ricordando la grande offensiva di agosto contro il riciclaggio di denaro e le reti finanziarie del narcotraffico, accusando Castro di agire in modo unilaterale, senza coordinamento istituzionale. Il sospetto, ormai diffuso tra osservatori e stampa internazionale, è che l’Operação Contenção abbia anche una finalità politica e di facciata. L’azione arriva infatti a pochi giorni da importanti eventi globali che si terranno proprio a Rio: il vertice dei sindaci C40, il premio Earthshot e l’avvio dei lavori preparatori per la COP30. Un tempismo che non sembra casuale. La dimostrazione di forza di Castro, secondo molti analisti, punta anche a consolidare la sua immagine di “uomo dell’ordine”, in contrapposizione a Lula, proprio mentre Rio è sotto i riflettori del mondo.
Nelle favelas del Complexo do Alemão e della Penha vivono oltre 280.000 persone, molte delle quali estranee ai circuiti criminali. Durante l’operazione, interi quartieri sono rimasti senza acqua né elettricità, i trasporti sospesi, le scuole chiuse. Organizzazioni civili hanno denunciato violazioni dei diritti umani e chiesto un’inchiesta indipendente per chiarire se ci siano state esecuzioni extragiudiziali. La popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto. Paura, isolamento, perdita di fiducia nelle istituzioni. E le parole di Lula – “non possiamo accettare che poliziotti, bambini e famiglie innocenti siano messi a rischio” – risuonano come un tentativo di restituire umanità a una tragedia che rischia di diventare routine.
Il presidente ha ribadito che la lotta al narcotraffico non può limitarsi alla repressione. Serve una politica pubblica capace di unire sicurezza e inclusione sociale, presenza dello Stato e sviluppo economico nei quartieri popolari. È questo, secondo Lula, il modo per “colpire la spina dorsale del narcotraffico”, non soltanto le sue ramificazioni visibili. L’approccio ricorda la linea dei primi anni del suo governo: contrastare la povertà per ridurre la base di reclutamento del crimine.
L’Operação Contenção sarà ricordata come una delle giornate più violente nella storia di Rio de Janeiro. Ma la risposta del presidente Lula introduce un cambio di prospettiva. Il riconoscimento che la sicurezza non è solo una questione di polizia, ma di giustizia sociale.
Oggi assistiamo, in tutto il mondo, a una militarizzazione sempre più estrema della lotta alla criminalità organizzata: dai politici di Rio a Donald Trump, che schiera la flotta di fronte alle coste del Venezuela. Nel frattempo, chi vive in quei luoghi continua a essere vittima di una doppia violenza – quella criminale e quella statale.
Le soluzioni di lungo periodo, ancora una volta, si dissolvono dietro la retorica della forza.
In un Brasile lacerato tra disuguaglianza e violenza, le parole di Lula — “serve un lavoro coordinato, non operazioni che mettano in pericolo i civili” — segnano la linea di confine tra due idee di Stato: uno che colpisce, e uno che costruisce.


 
	
	
	
	 
	
      

 

 

 
 
 
 
 
 

 
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