di Franz Di Maggio
Iniziata con corollario di scontri e minacce la campagna elettorale per le presidenziali del prossimo 28 dicembre, il cui risultato sembra scritto nello stesso senso del referendum costituzionale che nel 2023 consegnò praticamente a vita il Paese alla democratura del presidente Faustin-Archange Touadéra.
In carica dal 2016, rischiava seriamente di non essere rieletto. La Costituzione della Repubblica Centrafricana, come tante delle giovani democrazie africane fotocopiata secondo manuale ereditato dagli imperi coloniali, prevedeva due mandati presidenziali massimo da 5 anni ciascuno.
Scardinare questa regola democraticamente corretta è in realtà semplice, in un Paese dove continui scontri tra bande armate di guerriglieri che si contendono i territori di una delle nazioni più povere al mondo (il 71% della popolazione è sotto la soglia di povertà e oltre il 90% è composto da giovani sotto i 25 anni). Un Paese dove la corruzione – non mi stancherò mai di scriverlo, è il cancro più difficile da estirpare in Africa e non solo – è a livelli tali da assicurare un futuro di emigrazione economica forzata ai suoi abitanti.
Il referendum costituzionale del 2023 ha consegnato con un roboante quanto sospetto 94% a favore il Paese a Touadéra per altri 7 anni (poi si farà un nuovo referendum, statene certi!). Sì, non è una svista, 7 anni. Perché tanto che c’era il previdente “padre della patria” ha portato da 5 a 7 anni il “suo” mandato.
La pacificazione del Paese sembrava aver compiuto un passo con la deposizione delle armi da parte di due gruppi armati: Il 10 luglio scorso i leader dei gruppi ribelli 3R e UPC – “generale” Sembé Bobo (3R) e Ali Darassa (UPC) – sono rientrati nella capitale Bangui deponendo simbolicamente sul tavolo presidenziale due kalashnikov con la promessa di chiudere con la consegna di tutte le armi un capitolo significativo dopo oltre quattro anni di conflitto armato.
Puntualmente, però, i “buoni propositi” sono stati smentiti dai fatti. Solo una quantità irrilevante di strumenti di morte sono stati consegnati. E ci si aspetta che le elezioni presidenziali di dicembre possano provocare un nuovo bagno di sangue, con le fazioni in lotta per il dominio dei pochi territori economicamente sfruttabili pronte a autodeterminare nuove leggi, regole e, chissà, staterelli “de facto”.
Come dice sempre il mio amico Tahar Ben Jelloun “solo gli africani possono salvare l’Africa.” Attraverso un new deal in cui istruzione e cultura non di impronta neocolonialista diano prospettive facendo crescere una classe politica nuova che tagli il cordone ombelicale con le “grandi potenze” e con un sistema corruttivo inaccettabile.



e poi