di Franz di Maggio
Il Sudan rappresenta una delle contraddizioni paradigmatiche della continua distopia africana. Un Paese in teoria ricco per le sue risorse. Al contempo prigioniero da tempo di un’infinita guerra tra bande per la spartizione di una regione “tagliata col righello” dagli antichi accordi.
Ovviamente quello che ci preoccupa di più sono le centinaia di migliaia di Cresce la preoccupazione per le centinaia di migliaia di civili intrappolati a El Fasher, in Sudan. Una delle fazioni armate le cosiddette Forze di Supporto Rapido (RSF) ha dichiarato di aver conquistato la città da un anno e mezzo sotto assedio.
Al centro di questa formazione Mohamed Hamdan Dagalo noto come Hemedti – il leader di RSF che nei giorni scorsi era riusciti a prendere il controllo della principale base dell’esercito in Darfur – ed è progressivamente avanzato verso il centro della città, divenuta un immenso campo profughi, dove nei mesi scorsi era stata dichiarata una grave carestia. El Fasher era in realtà la frontiera “de facto” essendo l’ultimo avamposto dell’esercito regolare. Da lì in poi inizia la “terra di nessuno” che al pari della Somalia è in preda alle scorribande di guerriglieri talvolta sotto l’egida “religiosa” di matrice jihadista, talvolta sotto la guida di un leader tribale.
Conferme della disfatta provengono dal generale Abdel Fattah al-Burhan, capo dell’esercito sudanese ed ex leader del governo di transizione.
Vani gli appelli delle Nazioni Unite per un “cessate il fuoco” immediato con i combattenti delle diverse fazioni che bloccano le vie di fuga e l’accesso agli aiuti umanitari. Una vera e propria carneficina in diretta: in rete e sulle piattaforme social si reperiscono video di atrocità commesse dai paramilitari nei confronti delle popolazioni locali non-arabe, in particolare contro le comunità Fur, Zaghawa e Masalit, e denunce di violenze e stupri su base etnica in una regione già in passato teatro di massacri, pulizia etnica e un genocidio, che tra il 2003 e il 2009 costò la vita ad oltre 600mila persone.
La rete è ora stata in buona parte interrotta per la disattivazione della connessione internet satellitare Starlink che stanno gravemente limitando l’accesso alle informazioni indipendenti su quanto accade in città.
Questa la situazione; le prospettive di un Paese già da tempo sull’orlo del collasso politico ed economico vanno sempre di più verso un’ulteriore frammentazione territoriale. Dopo che il Sud Sudan si è reso autonomo, per la parte del nord del grande Paese africano si ipotizza un futuro in fotocopia con quanto accaduto in Libia: un potere centrale debole e depotenziato, un regime paramilitare che prenderà sempre più possesso di territori e rivendicherà un’autonomia “de facto” prima, per poi intessere relazioni diplomatiche a partire dagli “sponsor” di questa operazione.
Perché il Sudan, oltre che a risorse petrolifere ingenti, è uno dei più ricchi possessori di miniere d’oro. E con l’oro ai massimi storici ecco che si scatenano gli appetiti dei paesi confinanti (e non solo).
Con il “potere centrale” : l’Egitto e altri Stati confinanti sostengono il generale Al-Burhan e il suo governo con sede a Port Sudan; con Hemedti, già vice di Burhan nella precedente giunta militare gli Emirati Arabi Uniti e Paesi sotto la loro influenza, come il Ciad.
Di fronte a questa ragnatela di interessi e alleanze, anche i negoziatori delle nazioni unite si limitano a tentare al via del “cessate il fuoco”: di fatto altre soluzioni al momento non sembrano emergere mentre l’agonia di un popolo prosegue: l’indifferenza è in realtà calcolo di convenienza nei confronti degli amici delle due fazioni contendenti.



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