Tanzania ultimo atto?


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Franz Di Maggio

Un Paese da quasi 70 anni nelle mani dello stesso clan: quello della presidente Samia Suluhu Hassan, che si è assicurata di vincere le elezioni della scorsa settimana eliminando politicamente e fisicamente le opposizioni. Difatti, puntualmente, dopo le elezioni di mercoledì scorso, sono scoppiati violenti disordini che dalla capitale Dar-er-Salaam si sono propagati in tutto il Paese.

In Tanzania il governo ha interrotto l’accesso a internet, ma alcuni report indipendenti segnalano che circa settecento manifestanti sono stati uccisi negli scontri con le forze di sicurezza. Il partito della presidente, il Chama Cha Mapinduzi, governa ininterrottamente dall’indipendenza dal Regno Unito, nel 1961. Peraltro la presidente non è stata nemmeno eletta, ma nel 2021 è succeduta in modo automatico alla presidenza per la morte improvvisa del suo predecessore, John Magufuli.

Per assicurarsi una vittoria che è apparsa scontata – e che ha generato gli scontri in corso – la presidente ha reso innocui i candidati alternativi, facendo arrestare i più pericolosi per la sua elezione come il leader del principale partito di opposizione Chadema, Tundu Lissu, accusato di tradimento della Costituzione e impedendo la partecipazione al candidato del secondo partito di opposizione, Luhaga Mpina di ACT Wazalendo, per vizi di forma. In seguito all’arresto di Lissu, Chadema decise di boicottare il voto e non presentare altri candidati. Inoltre strane sparizioni e omicidi sospetti: a settembre del 2024 era stato rinvenuto cadavere con evidenti segni di percosse e torture un altro importante politico di Chadema, Ali Mohamed Kibao, e nei giorni scorsi era sparito anche Humphrey Polepole, diplomatico noto per le sue critiche al governo di Hassan.

Ancora prima dello scrutinio gli scontri sono deflagrati. A Dar es Salaam, manifestanti hanno dato fuoco a un autobus e a una pompa di benzina. Sono intervenute le forze armate ed è stato imposto un coprifuoco a tempo indeterminato.  Ci sono state manifestazioni anche in altre città e le forze di sicurezza hanno limitato gli spostamenti sulle strade principali con dei posti di blocco, facendo passare solo chi doveva andare a lavoro ed era ritenuto un lavoratore essenziale. Sono state chiuse scuole e università. Ci sono state anche interruzioni e ritardi dei voli, “intrappolati” in aeroporto anche turisti che per tre giorni non hanno potuto comunicare né con i parenti né con le ambasciate.

Il risultato del voto è stato contestato anche a Zanzibar, l’isola di fronte alla Tanzania e che fa parte del paese ma che gode di ampia autonomia. Qui sia Chadema che ACT Wazalendo avevano potuto presentare i propri candidati, diversamente dalla Tanzania continentale. Tuttavia il candidato del Chama Cha Mapinduzi, Hussein Mwinyi, è stato dichiarato vincitore con l’80 per cento dei voti, e l’opposizione ha accusato il governo locale di brogli.

L’uso costante della forza e la fedeltà (al momento) dei militari nei confronti dell’attuale governo non fa pensare a possibili svolte democratiche, in un Paese dalle enormi risorse nell’ambito turistico, poco sfruttate al momento dalla costante incertezza in cui versa. Ai tanzaniani ora la parola. Sperando che in questa situazione confusa non si annidi qualche interesse post-coloniale che porti al potere rappresentanti di progetti sponsorizzati dall’esterno o – peggio ancora – gruppi integralisti affiliati alle aree jihadiste.


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