(Federica Cannas) – New York è una città che cambia in modo netto. Quando una fase politica si esaurisce, la città lo mostra senza ambiguità. La vittoria di Zohran Kwame Mamdani come nuovo sindaco è esattamente questo, un passaggio di testimone chiaro, che rompe un equilibrio. È il segnale che una parte importante della popolazione urbana non si riconosce più nel modo in cui la politica ha gestito la città negli ultimi anni. La stanchezza verso il già visto si è trasformata in richiesta esplicita di cambiamento.
Con un dato politico di portata storica. Mamdani non solo ha vinto, ma nelle primarie ha superato una figura ingombrante come Andrew Cuomo, uno dei nomi più pesanti della politica newyorchese degli ultimi decenni. E in questo scarto simbolico si coglie anche una rottura con un altro elemento decisivo della cultura politica americana: l’ombra lunga della dinastia Kennedy, che ancora oggi pesa non solo dentro il Partito Democratico, ma nella memoria del Paese. Mamdani è l’opposto del modello dinastico che ha segnato la politica americana del Novecento. E non va dimenticato un fatto significativo. Donald Trump ha sostenuto pubblicamente Cuomo nella sfida interna, segno concreto di come pezzi del mondo repubblicano abbiano riconosciuto in lui una figura affidabile in continuità con l’apparato democratico tradizionale.
Mamdani non arriva dalle strutture classiche del potere. Nasce a Kampala nel 1991, figlio di una storia complessa. Musulmano di origini ugandesi-indiane, arriva da bambino negli Stati Uniti, cresce nel Queens, frequenta il Bronx High School of Science, una delle scuole pubbliche più selettive del paese, e poi Bowdoin College nel Maine, dove si laurea in Africana Studies. Prima della politica lavora come consulente per la prevenzione degli sfratti. È lì che vede cosa significa il costo della vita nella sua dimensione più difficile.
Nel 2021 viene eletto all’Assembly dello Stato di New York e abbraccia con chiarezza l’identità socialista democratica, sostenuta dai Democratic Socialists of America. Mamdani non nasconde nulla, non smussa e pratica il progressismo nella definizione delle priorità.
Il fulcro della sua campagna da sindaco è stato semplice: il costo della vita. Un tema che i democratici tradizionali hanno ripetuto molte volte senza mai affrontarlo davvero. Mamdani propone blocchi sugli affitti nelle zone più sotto pressione. Trasporto urbano gratuito sugli autobus. Negozi alimentari comunali nelle zone dove il mercato privato non garantisce prezzi sostenibili né qualità. Queste non sono idee futuristiche. Sono interventi concreti sulla vita quotidiana. E qui sta la rottura.
Negli ultimi anni la distanza pratica tra democratici e repubblicani si è assottigliata nella gestione del potere reale. Linguaggi diversi. Risultati simili. Per questo Mamdani è un outsider vero. Non finge un distacco dall’establishment. È fuori da quella logica. Viene da un’altra prospettiva. E il clima elettorale lo ha confermato. Donald Trump ha rivolto un appello diretto agli elettori ebrei di New York perché non votassero Mamdani, mentre Benjamin Netanyahu ha attaccato pubblicamente il candidato per le sue posizioni su Israele e Gaza contribuendo a polarizzare l’elettorato ebraico della città.
La sua vittoria è stata resa possibile anche dal sistema di voto usato a New York, chiamato ranked choice voting. In questo sistema non si sceglie un solo candidato. Si mette un ordine di preferenza: prima scelta, seconda, terza. Se nessuno supera il 50% subito, si elimina chi ha meno voti e si assegnano le seconde scelte che quegli elettori avevano indicato. In questo modo vince chi riesce ad essere preferito da più mondi diversi. Mamdani, infatti, non è stato votato solo da chi si definisce socialista, ma anche da chi lo ha messo come “seconda opzione migliore degli altri”. Ha convinto trasversalmente.
Il suo profilo biografico rappresenta una New York reale. La città mescolata delle migrazioni, dei linguaggi sovrapposti, dei quartieri che non compaiono nelle serie tv ma dettano lo spirito della città. È questa New York che ha scelto Mamdani.
In molti lo interpretano come una specie di promemoria politico. Non basta parlare ai progressisti, bisogna parlare alle condizioni di vita reali.
Ora inizia la parte più complessa. Governare. Mettere in pratica ciò che è stato promesso. Difendere le scelte davanti alle lobby economiche. Rendere strutturale ciò che finora è stato visto come utopia. Questo passaggio sarà decisivo. Ma ciò che è già accaduto è storico. Mamdani ha vinto in un contesto in cui il partito che si definiva progressista non modificava più la vita delle persone. La città ha voltato pagina per necessità.
La sua elezione mostra che la politica reale può tornare a occuparsi del concreto. La casa, il trasporto, l’accesso al cibo. Elementi base della civiltà urbana. Per anni sono rimasti sullo sfondo, come se fossero dettagli tecnici. Mamdani li ha riportati al centro. E New York lo ha seguito.
Il cambiamento, a volte, è un autobus che puoi prendere senza contare i centesimi. È un supermercato nel tuo quartiere e non a dieci fermate di distanza. È il segnale che le priorità cambiano quando cambia chi le interpreta.
Questa svolta ha un nome preciso. Zohran Mamdani



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