Cisgiordania, l’autunno della violenza: gli attacchi dei coloni raggiungono livelli record


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In Cisgiordania l’autunno della raccolta delle olive è diventato, ancora una volta, la stagione della paura. Da settimane, gruppi di coloni israeliani compiono attacchi coordinati contro villaggi e comunità palestinesi, in un’escalation che le Nazioni Unite definiscono “la più grave da quasi vent’anni”. Secondo i dati dell’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), solo nel mese di ottobre si sono registrati 264 attacchi, una media di otto al giorno: il numero più alto dal 2006.

Gli episodi si concentrano nelle aree rurali tra Nablus, Tulkarem e Hebron, dove vivono molte delle comunità agricole palestinesi. Le immagini diffuse sui social mostrano colline in fiamme, magazzini devastati e ulivi secolari tagliati o incendiati.

A Beit Lid, vicino Tulkarem, un gruppo di uomini mascherati ha assaltato un deposito agricolo, distruggendo attrezzature e camion. A Deir Sharaf, villaggio beduino nel nord della Cisgiordania, tende e stalle sono state bruciate nella notte, mentre gli abitanti cercavano rifugio nelle colline vicine. “Non vogliono solo la terra – vogliono farci sparire”, ha detto un contadino di sessant’anni, mostrando le ceneri del suo oliveto.

Secondo Ocha, dall’inizio dell’anno sono stati documentati oltre 1.500 episodi di violenza da parte dei coloni, tra aggressioni fisiche, attacchi con armi da fuoco, incendi dolosi e distruzioni di proprietà. Più di 140 palestinesi sono rimasti feriti, e oltre 4.200 alberi sono stati vandalizzati in 77 villaggi.

Le forze di sicurezza israeliane sono intervenute in pochi casi. In un raro episodio di contrasto diretto, l’esercito ha arrestato alcuni coloni nei pressi di un insediamento vicino a Qalqilya. Poco dopo, i soldati sono stati attaccati da altri coloni e il loro veicolo è stato danneggiato. La polizia israeliana ha riferito di quattro arresti, mentre il presidente Isaac Herzog ha condannato “una minoranza violenta che danneggia la sicurezza di tutti”.

Ma molti osservatori non condividono questa lettura. Il quotidiano Ha’aretz ha accusato le Forze di difesa israeliane (IDF) di “complicità sistemica”, sostenendo che “in numerosi episodi i militari assistono agli attacchi senza intervenire, o partecipano indirettamente fornendo copertura ai coloni”.

Un’inchiesta del gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem documenta una pratica diffusa: la chiusura temporanea delle aree agricole palestinesi “per motivi di sicurezza”, mentre gli stessi terreni vengono occupati dai coloni. “Non si tratta più di episodi isolati, ma di una strategia coerente”, afferma il direttore di B’Tselem, Hagai El-Ad. “La violenza serve a spostare popolazioni e consolidare il controllo israeliano sulla Cisgiordania”.

L’ondata di aggressioni arriva in un momento di forte fragilità economica e politica. Secondo la Banca Mondiale, l’economia della Cisgiordania si è contratta del 17% nel 2024, mentre la disoccupazione giovanile supera il 40%. Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano, ha avvertito che un ulteriore deterioramento potrebbe portare al collasso dell’Autorità nazionale palestinese, già delegittimata da anni di stallo politico e corruzione.

“Se l’economia palestinese dovesse crollare, l’instabilità non si fermerebbe ai confini della Cisgiordania”, ha dichiarato l’ambasciatore statunitense in Israele, Mike Huckabee. “La disperazione genera violenza, e la violenza non ha confini”.

Per gli agricoltori palestinesi, la distruzione degli uliveti non rappresenta solo una perdita economica. È un colpo alla memoria collettiva. Gli ulivi, spesso piantati dai nonni o dai bisnonni, sono parte integrante della cultura e dell’identità locale.

Secondo l’Unione degli agricoltori palestinesi, il 70% dei coltivatori non ha potuto raccogliere il raccolto nel 2025, spesso per mancanza di accesso ai terreni o per il rischio di aggressioni. “Ogni albero tagliato è come una ferita nella nostra storia”, spiega Abbas Milhem, direttore dell’organizzazione. “L’ulivo è vita, resistenza e speranza. Distruggerlo significa colpire il futuro stesso di questa terra”.

Intanto, la mappa della Cisgiordania continua a frammentarsi: oltre 480.000 coloni israeliani vivono oggi negli insediamenti, che si espandono costantemente nonostante le risoluzioni ONU che ne dichiarano l’illegalità.

La violenza dei coloni non è più un fenomeno marginale, ma un sintomo di un conflitto che, a quasi sessant’anni dall’occupazione del 1967, sembra sempre più senza uscita.


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