(Valeria Stera) – Il Governo giordano ha inaugurato lo scorso 30 aprile il campo profughi di AL Azraq, destinato ad accogliere le centinaia di rifugiati siriani che ogni giorno attraversano il confine. Progettato per ospitare fino a 130.000 persone e diventare il campo profughi più grande al mondo, AL Azraq ha accolto 1000 rifugiati a soli quattro giorni dalla sua apertura. Il campo di AL Za’atari, il primo ad essere stato realizzato in Giordania e inaugurato nel luglio 2012, a quasi due anni dalla sua apertura chiude le porte ai nuovi arrivi, avendo ormai raggiunto la sua massima capienza, circa 100.000 siriani, secondo i dati pubblicati da UNHCR.
AL Za’atari si trova nel nord della Giordania, nel governatorato di Mafraq, a pochi chilometri dal confine con la Siria. Nel 2013, a poco più di un anno di vita, è diventato il secondo più grande campo al mondo e la terza città in Giordania per numero di abitanti. Ma l’ininterrotto e consistente afflusso di fuggitivi dalla Siria ha reso sempre più difficile garantite assistenza, protezione ed erogazione di servizi per tutti i suoi abitanti, mettendo duramente alla prova la sua efficienza.
Il campo di AL Za’atari si porta avanti grazie ai fondi provenienti dalla cooperazione internazionale, a numerose donazioni e al coordinamento fra le sempre più numerose organizzazioni locali e internazionali presenti nel paese e facenti capo a UNHCR. Grazie al lavoro di numerosi operatori e il supporto di medici, ingegneri e altre figure professionali specializzate, tende, caravan, beni di prima necessità e assistenza sanitaria vengono assicurati. L’utilizzo dell’acqua, l’igiene e il clima desertico rappresentano invece le sfide maggiori. Inoltre, le immense distanze da percorrere, non permettono a tutti un facile accesso ai principali servizi offerti, come scuole, ospedali o centri di distribuzione di beni, dislocati in alcune zone del campo, talvolta difficilmente raggiungibili. Disabili, anziani e donne in gravidanza hanno la priorità e trovano solitamente sistemazione in caravan, che offrono una qualità di vita migliore rispetto alla tenda, anche se a causa del loro esiguo numero e dell’alto costo spesso non possono essere garantiti sin dall’ arrivo al campo.
La vita ad Al Za’atari ricorda quella di una vera e propria città. Passeggiando per il campo, suddiviso in distretti e circondato da immense distese di sabbia, è facile perdersi. Grazie a “les Champs Elysees”, il lunghissimo viale quotidianamente percorso da migliaia di rifugiati e in cui la maggior parte di loro svolge un’ attività lavorativa, è comunque possibile orientarsi. I bambini corrono e giocano nelle vaste distese e sorridono di fronte a macchine fotografiche e telecamere, forse perché ignari di quel che realmente sta accadendo o forse consapevoli di essere scampati ad una terribile sorte.
Nonostante la chiusura ai nuovi arrivi, Al Za’atari continua ad essere una realtà che necessita quindi di sostegno e controllo. La sicurezza non è mai troppa e le risorse non sono mai abbastanza. Gli episodi di violenza e le proteste talvolta provocano morti e feriti. In più, anche la criminalità ha trovato terreno fertile ad AL Za’atari, in cui spesso i beni destinati alla distribuzione vengono a mancare a causa dei furti.
Ad Al Za’atari, per molti questa è la quotidianità. Il campo è per loro una “casa temporanea”, una parentesi in attesa di poter tornare in Siria, loro patria ma anche “Um AL ‘Arab”, la madre degli arabi”, così amano definirla. Per altri, invece, la fuga dal campo è l’unico obiettivo, nella speranza di trovare un’alternativa migliore nelle città. Il presente non è il passato e ci si augura non diventi il lontano futuro.