(Laura Tocco) – È il dodicesimo Presidente della Repubblica. Recep Tayyip Erdoğan ha giurato davanti alla Grande Assemblea Nazionale Turca di salvaguardare “l’indipendenza dello stato, l’integrità indivisibile del paese, la sovranità della Nazione, di rispettare la Costituzione, lo stato di diritto, la democrazia e i principi della Repubblica secolare”.
Dopo le elezioni del 10 agosto scorso Erdoğan, forte del suo 51,7% dei voti conquista Palazzo Çankaya, sede della Presidenza della Repubblica. A succedergli nell’incarico di Primo Ministro sarà Ahmet Davutoğlu, Ministro degli Esteri uscente e unico candidato alla guida del premierato. Fu proprio lui a redigere la dottrina “zero problemi con i vicini” inaugurando l’apertura diplomatica verso i paesi limitrofi. Sebbene datata, venne rispolverata anche la formula “neo-ottomanismo” che, quasi a voler identificare il ripristino del cosmopolitismo della tradizione ottomana, iniziò a designare l’apertura politica verso le componenti etniche e religiose del paese, dentro e fuori dai confini, avvalendosi degli strumenti della diplomazia. Oggi, l’uomo della filosofia “zero problemi” chiude una legislatura che, tradendo il suo stesso spirito, sembra abbia accumulato non poche controversie con i paesi limitrofi. Ma questo non sembra essere vissuto come un fallimento dal partito di governo. Non a caso, in occasione dell’ultimo Congresso straordinario del partito di maggioranza (AKP), tenutosi il 27 agosto, Davutoğlu ha ottenuto la fiducia del partito come Primo Ministro e come Segretario Generale.
Intanto, Erdoğan conclude dodici anni di premierato politico con un’evidente tendenza al presidenzialismo. Lo stesso appuntamento con le presidenziali, le prime a elezione diretta della storia del Paese, sono dimostrazione delle velleità populiste del neo presidente. Un plebiscito mancato. Erdoğan, infatti, sperava in una manciata di voti ben superiore al 51,7% di quelli incassati. Percentuale che, tuttavia, permette continuità all’ambizioso progetto politico che Erdoğan ha disegnato per la Repubblica.
Lo scorso 25 agosto mentre Abdullah Gül, Presidente uscente, salutava il popolo turco, Erdoğan presiedeva l’ultimo Consiglio dei Ministri per accingersi a divenire il dodicesimo Presidente della Repubblica. Un’occasione simbolica che sembrava inaugurare lo spostamento dei poteri verso Palazzo Çankaya: la fine del sistema parlamentare turco. Non a caso, è probabile che il primo passo sarà proprio verso la riforma costituzionale in senso presidenziale, tanto agognata da Erdoğan.
Ma il paese non ha archiviato le ferite delle proteste del Gezi Park, gli scandali di corruzione, il disastro della miniera di Soma, il volto speculativo e la gentrification di un capitalismo che continua a permettere il profitto dei pochi a danno dell’equità sociale. Erdoğan eredita dunque la sua stessa Turchia, quella lacerata dalle lotte dei palazzi e dagli scandali, dalle rivolte della strada, dalle morti sul lavoro e dalle delusioni dell’ambiguità della politica estera. Ma è ambizioso, Erdoğan. E lancia persino la sfida al padre fondatore. In caso di rinnovo del mandato presidenziale, sarà lui a presiedere la Turchia nel 2023, data simbolo del centenario della Repubblica, sfidando l’icona del mito del paese e affiancando la sua immagine a quella del padre fondatore Mustafa Kemal Atatürk, padre dei turchi.
Laura Tocco (1984). Dottoranda di ricerca in Storia e Istituzioni del Vicino Oriente all’Università di Cagliari. Il suo filone di ricerca principale riguarda la storia contemporanea della Turchia e, nello specifico, lo studio della società civile turca. Ha svolto le sue ricerche in Turchia lavorando su fonti in lingua turca. Ha pubblicato articoli per diverse riviste e volumi. La sua tesi di laurea, Censura e società civile in Turchia: il caso Hrant Dink, ha ricevuto la Menzione Speciale al Premio Internazionale di Giornalismo Maria Grazia Cutuli.