Centinaia di curdi di nazionalità turca e siriana hanno sfondato la barriera che segna il confine tra i due paesi per unirsi alle forze curde che stanno combattendo contro i jihadisti dello Stato islamico intorno alla cittadina di Kobane (Ain al-Arab in arabo), uno dei tre cantoni del Rojava, il Kurdistan siriano. Le forze turche nei giorni scorsi avevano fermato i militanti che volevano entrare in Siria per lottare contro l’Isis, provocando scontri con le popolazioni curde locali alla frontiera. La chiusura dei valichi con la Siria ai rifugiati curdi nasce dal timore di Ankara di rompere l’equilibrio etnico nella regione, con il rischio di far scoppiare una guerra civile in un’area che da sempre rivendica autonomia e maggiori poteri.
Orhan Sansal, sindaco di Suruç, ultima città turca prima di arrivare in Siria, ha accusato apertamente la Turchia di aiutare i terroristi dello Stato Islamico: “La frontiera è attraversata da camion carichi di armi, giovani occidentali pronti ad arruolarsi tra le fila di Daesh (Isis), feriti di guerra che poi vengono curati negli ospedali di Ankara e intanto i bambini sono abbandonati”.
Molti villaggi sono stati conquistati dai jihadisti e la bandiera nera dello Stato Islamico oramai sventola in molte zone del Rojava: “Tra noi e loro ci sono meno di venti chilometri, continuiamo a lottare sul campo”, ha spiegato due giorni fa Idris Nassan, vice rappresentante per gli Esteri di Kobane. “Daesh (Isis) vuole fare un massacro come in Sinjar e la comunità internazionale ci deve aiutare”.
La Turchia ospita oltre 160mila rifugiati in fuga dalle atrocità dell’Isis attorno a Kobane. In molti vogliono varcare il confine in senso opposto, per andare a combattere i jihadisti. I curdi turchi e siriani da entrambi i lati del confine hanno lavorato per abbattere la barriera di filo spinato e di rete e in blocchi di cemento attorno al posto di frontiera di Mursitpinar.
“Si tratta di una questione nazionale, è una questione di onore. Come si può restare a casa propria, al posto di lavoro, con le braccia incrociate a guardare la guerra in atto? Non è nella nostra tradizione” dice un combattente curdo. “Sono tornato alla mia terra, alla mia città, dalla mia gente. Perché sono tutti come fratelli, padri, madri. Sono la mia patria, io sono figlio di questo Paese” ha detto un rifugiato prima di ritornare in Siria.
Uomini ma non soltanto: ci sono anche molte donne che, piuttosto che accettare le condizioni precarie dei campi profughi in Turchia, sebbene lontano dai combattimenti, preferiscono tornare alle proprie case, dove si combatte a pochi chilometri dal confine.
Attraversato il confine, hanno ricevuto un’accoglienza commossa da parte dei combattenti delle Divisioni di protezione del popolo (YPG), gruppo ribelle curdo operante in Siria. I media curdi riferiscono che l’Isis ha ripreso l’assalto di Kobane. I ribelli curdi, che combattono da trent’anni per l’autonomia da Ankara, hanno avvertito il governo turco delle conseguenze per il processo di pace se la Turchia continuerà a impedire ai militanti di passare in Siria.
con fonte Afp, Reuters, Firat