Seyit Rıza e la memoria di Dersim


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(Simona Deidda) – A 77 anni dall’esecuzione per mano del governo turco del leader religioso e del movimento di liberazione curdo e alevi, che guidò la rivolta di Dersim degli anni 1937-38, Seyit Rıza, rimane ancora sconosciuto il luogo di sepoltura.

Seyit Rıza fu la figura di spicco della rivolta di Dersim, che segue la legge emanata dal governo di Ankara nei primi anni ’30 con la quale si sanciva la divisione del Kurdistan in 4 zone. Essa stabiliva ufficialmente l’inizio dell’occupazione del Kurdistan e la dispersione dei curdi secondo le disposizioni che seguono:

“zona n.1: comprenderà tutte le aree in cui è ritenuto desiderabile aumentare la densità della popolazione di cultura turca (riferimento alle aree curde);

zona n.2: comprenderà le aree in cui è ritenuto desiderabile insediare popolazioni che devono essere assimilate nella cultura turca (Turchia etnicamente turca);

zona n.3: comprenderà le aree in cui sarà permesso il libero insediamento di immigrati di cultura turca, ma senza assistenza da parte delle autorità (zone fertili del Kurdistan);

zona n.4: comprenderà tutti quei territori che si è deciso di evacuare e quelli che potrebbero essere chiusi per motivi di salute pubblica, materiali, culturali, politici, strategici o di sicurezza (zone più inaccessibili del Kurdistan)”.

È proprio della zona n.4 che sarebbe entrata a far parte l’area di Dersim. Sottoposta a totale evacuazione la popolazione dell’area, curda alevi, insorge in una delle più sanguinarie rivolte della storia della Turchia moderna, placcata nel sangue con quello che tuttora viene considerato un genocidio della popolazione di Dersim.

Dersim, ribattezzato con una legge del 1935 con il nome turco Tunceli, che significa “pugno di bronzo”, rappresenta il cuore ribelle del Kurdistan, anche se i suoi abitanti fino alla rivolta del 1937-38 non avevano mai reagito in maniera violenta, in parte a causa delle condizioni ecologiche e geografiche che isolano la regione dal resto del Kurdistan, in parte per motivi prettamente linguistici e religiosi. La popolazione di Dersim è, infatti, in gran parte di lingua zazaki, una minoranza all’interno della maggioranza curdofona kurmanji, e di religione alevi.

Nell’ottobre 1937 gli abitanti di Dersim inviarono una lettera alla Società delle Nazioni in cui venivano resi noti i motivi della rivolta contro le misure prese dal governo turco che “chiude le scuole curde, proibisce l’uso della lingua curda, elimina le parole curdo e  Kurdistan dalle opere scientifiche, usa metodi barbari nel forzare i curdi, compresi donne e bambini, a lavorare nei progetti militari in Anatolia, deporta i curdi a gruppi di 10 persone nei distretti turchi, ecc.”. A tale lettera il ministro degli interni dell’epoca, Celal Bey, rispose che il problema curdo non esisteva e che “i briganti sono stati civilizzati con la forza”.

La resistenza viene placcata dopo 3 anni di lotte, con una repressione e violenza tra le più cruente che i curdi abbiano mai conosciuto. Imprigionamenti in cave e grotte alle quali venne appiccato fuoco, uccisioni a colpi di baionetta, donne e bambini lanciati nel fiume Munzur furono le tecniche utilizzate dal governo turco nei confronti della popolazione di Dersim, la quale fu totalmente distrutta. Da questo momento Dersim e i suoi abitanti curdi alevi non esistono più.

I sopravissuti furono deportati nella Turchia occidentale e i leader della rivolta giustiziati nella piazza centrale della città. Questo è stato il destino di Seyit Rıza, condannato e giustiziato dopo un processo farsa in cui lui e gli altri leader della rivolta vennero informati dei propri diritti in turco, una lingua da essi sconosciuta, visto che l’unica lingua parlata dagli imputati era lo zazaki. Non venne ritenuto necessario né la presenza di un avvocato né di un traduttore che garantisse i diritti degli imputati. Il processo si concluse a tempo record, dopo sole 3 udienze in due settimane. Vennero giustiziati nella piazza centrale di Dersim di sabato, giornata in cui normalmente i tribunali non lavorano. La causa dell’urgenza dell’esecuzione era dovuta alla visita imminente del presidente Atatürk e alla paura che si potesse chiedere l’amnistia per Rıza.

L’esecuzione avvenne in una piazza vuota, nessuno, oltre il giustiziere giunto da Ankara e i membri della corte, era presente. Enfatizzando la situazione e rivolto ad una piazza come fosse gremita di gente, disse: “Noi siamo i figli di Karbala. Noi siamo senza colpa. È una vergogna. È un omicidio”, strinse la corda sul suo collo, spinse la sedia e si giustiziò da solo.

Furono 11 i condannati a morte, tra cui lo stesso figlio di Seyit Rıza, ma quattro condanne vennero commutate in pene di 30 anni. La stessa sorte sarebbe dovuta spettare al leader della rivolta vista la sua età, 78 anni al momento dell’esecuzione, ma la corte dichiarò 58 anni affinché la condanna a morte potesse essere legittima.

I corpi dei giustiziati furono sepolti in un luogo tuttora sconosciuto. Poiché il governo turco ancora si rifiuta di rivelare il luogo di sepoltura, è nato un movimento dal nome “Mostrateci la tomba dei nostri leader!”, che dimostra quanto la popolazione di Dersim sia ancora alla ricerca della propria memoria e la volontà di rendere nota la propria storia al resto del mondo. Ed è proprio la statua di Seyit Rıza che si erge al centro della città di Dersim, sopra il fiume Munzur a impedire che la memoria venga persa.

 

Simona Deidda. Dottoranda in storia, istituzioni e relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa moderna e contemporanea, attualmente si occupa di questione curda in Turchia. Si è laureata nel 2011 con una tesi dal titolo “Il diritto di esistere. Il popolo curdo e la cooperazione internazionale: il caso della Turchia”.

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