(Tommaso della Longa) – “Je suis Charlie”, matite contro Ak 47, “una risata vi seppellirà”. Sì, anche io ho condiviso su facebook la scritta “Io sono Charlie”. Io lo sono perché credo che non si possa uccidere solo perché qualcuno fa satira, anche se eccessiva, ma pur sempre satira. In momenti del genere, non si possono tirare fuori i ma e i però. Ecco perché io sono Charlie: questa è la prima naturale risposta, perché l’umanità deve rimanere sempre un punto di riferimento. Oggi a distanza di qualche giorno dal drammatico attacco parigino, voglio cercare di parlare dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo ‘fuori dai denti’. Ci sono alcune cose che vanno dette ai complottisti, ma anche agli islamofobici e a quei personaggi che stanno usando una strage per raccattare qualche nuova manciata di voti.
In questi giorni tanti, tantissimi sono diventati esperti di Islam e del Corano, ma forse nessuno lo ha veramente mai letto. Diciamolo chiaramente: nelle scritture sacre musulmane non c’è scritto che è giusto uccidere in nome della religione, anzi, tutt’altro. In pochi stanno mettendo in prima pagina la notizia delle tante, troppe moschee attaccate in Francia. In tantissimi stanno fomentando l’odio contro l’Islam.
Io vivo in Vicino Oriente, in un luogo dove palazzi incendiati, auto bombe e Kalashnikov sono purtroppo all’ordine del giorno. Eppure nessuno si mette nei panni di chi vive queste situazioni. Quanti ‘je suis Falluja’ abbiamo sentito nelle nostre città? Quante manifestazioni sono state fatte per i tantissimi giornalisti uccisi a Gaza, in Siria o in Iraq? Quanti giornalisti stanno scrivendo che tutto il mondo arabo, le maggiori guide islamiche, hanno condannato l’attacco a Parigi? Mentree scrivo Giletti su Rai Uno sta dicendo che in Iran non ci si può fare il segno della croce. Perché qualcuno non gli spiega che in Iran non solo ci solo ci sono i cristiani, ma anche una comunità ebraica?
Semplificare è molto semplice. Generalizzare ancora di più. Tutti i musulmani sono terroristi. Eppure il terrorismo colpisce prima di tutto il mondo musulmano. Eppure nel Corano Gesù Cristo e Maria Vergine sono Santi rispettatissimi.
Allora diciamo la verità. Diciamo che esiste una piccolissima minoranza terrorista che non c’entra nulla con l’Islam. Diciamo che gli attentatori di Parigi erano 100 per cento francesi e quindi prendersela con l’immigrazione non ha senso. Diciamo che il poliziotto ucciso davanti alla redazione di Charlie Hebdo e un redattore erano musulmani. Diciamo anche che i cosiddetti ribelli siriani, molti dei quali non sono siriani, sono stati armati e addestrati proprio dall’Occidente. Diciamo anche che decine di giornali arabi e di vignettisti musulmani hanno scritto e condannato l’attacco parigino.
Quindi iniziamo un’analisi seria, senza dietrologie e complotti. Le diplomazie europee e occidentali hanno sbagliato, decidendo di aiutare l’unica minoranza veramente pericolosa dell’Islam. Uccidere giornalisti è sbagliato in qualunque angolo del mondo. La religione non è motivo di divisione, ma di unione contro il terrorismo.
Ricominciamo dalla comprensione, dalla tolleranza, dall’umanità, dall’amore. Chiediamoci, mentre mettiamo sui social media l’immagine “Je suis Charlie”, cosa significa per un iracheno di Falluja o un palestinese di Gaza. Non esistono morti di serie a e di serie b. Se vogliamo veramente incarnare i principi della civiltà europea, dobbiamo farlo non a corrente alternata. E forse, soprattutto, dovremmo chiedere ai nostri governi di cambiare politica, fermare le guerre, non innescarle.
Domenica qui a Beirut c’è stata una manifestazione di solidarietà per la Francia. Così come in tante altre capitali arabe. In quanti lo raccontano? Sabato a Tripoli un’autobomba ha ucciso nove persone in un caffé e fatto decine di feriti gravi, mentre Future e Hezbollah sono impegnati nel dialogo nazionale contro il terrorismo. Chi ne sta parlando di tutto questo?
Non lasciamo spazio all’odio e allo scontro di civiltà. Non siamo davanti a cristiani contro musulmani, Occidente contro Islam. No. C’è terrorismo contro il resto del mondo. Forse insegnare il Corano insieme alla Bibbia, raccontare la millenaria convivenza in Vicino Oriente, potrebbe portare a un cambiamento. Dove ci sono cultura e sviluppo, c’è futuro. Altrimenti assisteremo da spettatori a un nuovo dare fuoco alle polveri per una nuova guerra senza senso.
Non è questo il mondo che voglio donare ai miei figli, la divisone e l’odio non possono essere bandiere da esportare. Prima di dire che tutti i musulmani sono tagliagole, prima di avere paura dell’altro, ricordate la storia dell’uomo e cos’è successo negli ultimi 30 o 40 anni. Non ci sono solo le Twin Tower, Madrid, Londra e Parigi. Ci sono anche Gaza, l’Iraq, la Siria, l’Afghanistan, la Libia, la Somalia, il Congo, la Nigeria. Vedrete che l’odio tanto al chilo va bene solo per i terroristi: piegarsi alla loro logica significa farli vincere.
Questo articolo è apparso su La voce di New York
Tommaso Della Longa, è nato nel 1980 a Roma, dove vive e lavora. Giornalista professionista, è attualmente il portavoce del Presidente nazionale di Croce Rossa Italiana. Nella sua vita professionale si è da sempre occupato di esteri e zone di crisi e delle questioni legate ai movimenti e al mondo ultras. È stato direttore dell’agenzia di stampa Inedita, ha realizzato alcuni reportage per Rai News 24, cinque cortometraggi per Mtv Italia e ha collaborato con diverse radio e testate nazionali. Ha scritto due libri: “Quando lo Stato uccide” (Castelvecchi, 2011), un’inchiesta a quattro mani con Alessia Lai sulla violenza delle Forze dell’Ordine, e “Lampedusa – Cronache dall’isola che non c’è” (Edizioni Ensemble, 2011), un romanzo scritto con Laura Bastianetto sull’esperienza sul molo lampedusano durante gli sbarchi dei migranti.