Le foto di Caesar sugli orrori nelle prigioni siriane non provano nulla


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(Francesco Gori) – “Ecco le foto sugli orrori nelle prigioni siriane”. Così i media italiani – e internazionali – hanno descritto gli scatti shock che i visitatori possono vedere in questi giorni al Palazzo di Vetro dell’Onu a New York. La mostra, dal titolo ‘Caesar Photos: Inside Syrian Authorities Prisons’, raccoglie una ventina delle 55mila immagini che sarebbero state realizzate tra il 2011 e il 2013 da un fotografo disertore dell’esercito siriano conosciuto con il nome in codice di Caesar in tre carceri nell’area di Damasco.

Foto portate clandestinamente fuori dal Paese mediorientale e talmente agghiaccianti che all’ingresso della galleria è stato posto il cartello ‘Warning: le immagini che seguono possono impressionare. E a vederli quegli scatti fanno accapponare la pelle: ci sono corpi scheletrici, bruciati dall’acido o da sigarette spente sulla pelle, crani fracassati, genitali brutalmente massacrati, teste deturpate a cui sono stati strappati gli occhi.

La mostra è a tutti gli effetti uno strumento di propaganda occidentale, teso ancora una volta a screditare l’immagine del presidente siriano Bashar al -Assad. Ne è consapevole l’ambasciatore britannico Mark Lyall Grant quando afferma che l’obiettivo dell’iniziativa è aumentare la consapevolezza sugli abusi dei diritti umani compiuti dal regime di Damasco. Tutto questo accade in un contesto in cui i terroristi dello Stato Islamico – e tante altre sigle di matrice jihadista – compiono qualsiasi tipo di nefandezza e crudeltà nei confronti della popolazione siriana, atrocità che l’Occidente ha contribuito ad aumentare con una politica dissennata in Medio Oriente.

Alcuni investigatori internazionali di crimini di guerra hanno descritto le immagini come “prove evidenti delle sistematiche torture e uccisioni di massa” nelle carceri siriane.  In realtà quelle immagini non dicono nulla circa gli autori e le vittime di quelle azioni. C’è la parola di Caesar e nient’altro. A ben guardare quei corpi potrebbero essere anche dei soldati siriani, massacrati dai cosiddetti ribelli. Nessuna prova, tranne la parola di un tizio che dice di chiamarsi “Caesar”. E non essendo una prova, è perfettamente funzionale al tipo di informazione che i media occidentali vogliono propinare all’opinione pubblica mondiale. E’ la stessa informazione che per anni ha nascosto le nefandezze dei cosiddetti ribelli. Che, nel frattempo, sono diventati in buona parte miliziani jihadisti.

Poco meno di un anno Caesar fa è stato ascoltato dalla House Foreign Affairs Committee degli Stati Uniti. Alla domanda su che cosa facesse realmente nell’esercito, ha risposto che faceva il fotografo per la polizia militare siriana. Il suo lavoro, dunque, consisteva principalmente nel fare le foto ai detenuti uccisi. Le sue foto mostrano corpi con segni di denutrizione, violente contusioni, strangolamento e altre forme di tortura. Dall’analisi di 150 corpi ritratti in un insieme di fotografie, gli esperti hanno concluso che il 62 per cento mostra segni di deperimento fisico: si tratta per la maggior parte di uomini di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Le vittime sarebbero identificate da numeri. Anche in questo caso Caesar non ha fornito particolari ulteriori. “I corpi erano 5-10 al giorno, – ha detto – ma quel numero è cresciuto in fretta fino a 50-60 al giorno”.

Le autorità americane hanno preso per buona ogni singola lettera della sua dichiarazione. Gli USA vorrebbero utilizzare queste informazioni per portare il presidente Assad davanti a una corte di giustizia internazionale per crimini contro l’umanità. A dir la verità ci hanno provato in tutti i modi ma l’unica cosa che sono riusciti a fare è stato organizzare questa mostra con 20 scatti per accusare ancora una volta Damasco. Se Obama e i suoi alleati volevano aiutare – nella propaganda – lo Stato Islamico ci sono riusciti perfettamente. Resta da chiedersi quando verrà organizzata una mostra i crimini commessi dai terroristi che combattono con armi occidentali finanziate anche dall’Occidente.

Le false prove contro Damasco e i falsi testimoni utilizzati dagli USA per colpire gli stati canaglia sono un classico della politica estera della Casa Bianca negli ultimi 60 anni. Anche la scenografia utilizzata nel corso dell’audizione alla House Foreign Affairs Committee degli Stati Uniti è un fil già visto: un uomo incappucciato, con una giacca a vento blu, sotto protezione dei servizi di sicurezza americani per il timore che Intelligence siriana lo elimini, che depone di fronte a una commissione di uomini in giacca e cravatta disposti a prendere per buono qualunque tipo di dichiarazione contro l’odiata Siria.

Una scena perfetta per una serie americana  o per un film di Hollywood. Forse un possibile suggerimento per la prossima stagione di Homeland. 

Resta il fatto che da quasi due anni questa pistola fumante è in mano degli americani che provano, con scarsi risultati, a trasformare il rapporto e il testimone Caesar in un caso internazionale. Accuse a senso unico che non considerano la realtà della situazione in Siria. Accuse che per ora hanno partorito un topolino: una mostra nel palazzo di vetro dell’Onu, il cui inviato in Siria, Staffan De Mistura, dice che la pace nel paese si può raggiungere solo coinvolgendo Assad perché il nemico da abbattere è lo Stato Islamico.

Qualcuno informi Caesar. E anche il segretario “fantasma” Ban – Ki – moon.

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