(Simona Planu) – “Oggi ripristiniamo la nostra unità nazionale”. Era il 2 giugno e a parlare, tra lo scettismo di alcuni e l’entusiasmo di altri, era il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas. A quasi un anno dalla proclamazione del governo, e dopo un conflitto che ha aggravato ulteriormente la situazione nella Striscia di Gaza, nessun obiettivo politico è stato realizzato e quell’unità tanto celebrata è ben lontana dall’essere raggiunta. In queste settimane accuse, smentite e chiarimenti si rincorrono. Ora le parti sembrano invertite: è Hamas che viene accusato di accordarsi segretamente con Israele. E’ sullo sfondo di una Gaza caduta nell’oblio che si gioca una partita economica e politica dove attori, posta in gioco e strategie sono tutt’altro che definite.
E’ una storia ormai lunga quella della divisione politica all’interno della comunità palestinese. Dal 2006, anno in cui Hamas vinse le elezioni politiche, la frattura politica per la conquista del potere si allarga e coinvolge la popolazione della Striscia in un vero e proprio conflitto interno. Durerà oltre un anno la scia di sangue in un territorio già devastato da anni di occupazione.
La proclamazione del Governo di unità nazionale, secondo il presidente palestinese, avrebbe dovuto chiudere un capitolo nero della storia palestinese e aprirne un altro, basato sulla forza delle istituzioni, dell’alleanza e dell’identità. L’intento era quello di ripartire dal piano politico, programmare le elezioni e garantire ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania un unico sistema di governo. Ma tale alleanza strategica poggiava su un terreno poco stabile e nutrito da interessi di parte piuttosto che da obiettivi comuni.
I nodi che hanno accompagnato la definizione degli accordi, non sono mai stati sciolti. Gli esponenti di Hamas, probabilmente forti di un consenso guadagnato anche durante l’operazione Protective Edge, continuano a chiedere le elezioni, la parificazione delle istituzioni e del personale pubblico impiegato sotto il loro governo.
Nel mese di aprile un nuovo sciopero è stato organizzato dall’Unione dei lavoratori pubblici. In 50mila hanno chiesto il pagamento degli stipendi. D’altra parte il controllo dei 3 valichi di collegamento con l’Egitto rimane una spina nel fianco del movimento islamico.
A un quadro non certo speranzoso per il futuro dell’ alleanza politica “ritrovata”, si aggiungono le voci di possibili accordi che Hamas starebbe portando avanti con Israele tramite la mediazione di diversi attori internazionali. Il funzionario delle Nazioni Unite, James Rawley, nelle scorse settimane ha dichiarato la completa estraneità riguardo il coinvolgimento delle Nazioni Unite come mediatore di presunti accordi segreti tra Israele e Hamas.
Il 2 maggio è stato il quotidiano Ma’an a pubblicare un’altra smentita. Questa volta è arrivata dal funzionario di Hamas, Ismail Al-Ashqar. L’esponente palestinese ha sottolineato che i contatti di Hamas con l’Europa sono rivolti alla discussione di alcune questioni fondamentali per i palestinesi, ma ha negato qualsiasi accordo con Israele.
Se a Gaza la verità non è mai una sola, le sorti della Palestina sono inserite in maniera profonda nello scacchiere internazionale. La disastrosa situazione in cui versa la politica interna di sicurezza è ormai nota: la frammentazione dei diversi gruppi politici, la distanza tra l’ala politica e l’ala militare di Hamas, lo spionaggio e le ripercussioni, gli attacchi che mirano a destabilizzare una situazione già esplosiva esacerbata dal peggioramento della situazione umanitaria, non fanno altro che indebolire la coesione sociale e politica.
Il Gaza Reconstruction Mechanism (GRM) è un accordo temporaneo siglato a settembre 2014 tra il Governo Palestinese e quello Israeliano che mira a definire le regole per la ricostruzione di Gaza. I punti principali sono l’inserimento dei progetti nei piani nazionali e l’assicurazione di meccanismi di controllo perché il materiale da far entrare nella Striscia venga utilizzato per scopi civili e l’assicurazione ai donatori che l’implementazione dei progetti non subisca ritardi.
Di fatto, per i palestinesi di Gaza non sembra ancora esserci nessuna assicurazione. Gli accordi, segreti o meno, sembrano sempre andare nella direzione del mantenimento di uno status quo che li vede da anni coinvolti in un’altalena di distruzione e ricostruzione dove nel mezzo ci sono strategie e giochi politici che poco hanno a che vedere con le istanze di autodeterminazione.