Afghanistan: la storia di Ibrahim Abed, il comico che sbeffeggia i talebani


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Ibrahim Abed è per l’Afghanistan, martoriato da 14 anni di guerre, simbolo di evasione, divertimento, svago. Ogni settimana in milioni accendono la tv per non perdere neanche una battuta di Abed, cabarettista, comico per passione. Lui è ormai talmente famoso che per le strade di Kabul la gente lo saluta, lo ferma per stringergli la mano.

E la sua storia finisce sulle pagine del Washington Post. Gli afghani, che si sono sempre divertiti nel raccontare aneddoti e barzellette, lo apprezzano perché con le sue battute e le sue buffonate va sempre a toccare le sfide che attendono il Paese. Trentenne, padre di otto figli, cresciuto a Jalalabad, è diventato una star grazie alla tv afghana Tolo. Massud Sanjer, uno dei responsabili dell’emittente dice di lui: «Se si parla di corruzione, la gente non ci segue con molta attenzione, ma quando Abed affronta l’argomento riesce a far capire alle persone cosa è giusto e cosa è sbagliato».

 

 

In Afghanistan la corruzione è dilagante e la classe politica offre ad Abed, che da bambino a causa di una mina ha perso due dita di una mano, non pochi spunti di ispirazione. Le imitazioni del presidente Ashraf Ghani e del predecessore Hamid Karzai, dei ministri del governo di Kabul così come di Abdullah Abdullah fanno impazzire gli afghani. Dice di essere riuscito a far ridere anche i Talebani. La sua carriera è iniziata tra i letti di un ospedale. All’epoca della caduta del regime di Talebani, nel 2001, è un infermiere e presto diviene la ‘versione afghanà di Patch Adams.

Sei anni dopo, incoraggiato dagli amici, partecipa a «Khaanda Bazaar», il talent di Tolo per scoprire il ‘miglior comicò afghano tra 10mila concorrenti. Alle finali, a Kabul, arriva facendo l’autostop: la corsa in pullman da Jalalabad è troppo costosa per lui. Trionfa con barzellette e battute sui giudici e sui Talebani. Anni dopo le linee rosse imposte da Tolo alla sua libertà di satira non sono molte, dice, basta che non si vadano a toccare gli equilibri etnici e la religione. E per evitare ritorsioni e minacce, nonostante fiocchino le imitazioni dei politici afghani, è comunque meglio non nominarli esplicitamente, così come è meglio lasciare in pace i signori della guerra.

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