(Paola Di Lullo – Gerusalemme) – Per chi non è mai stato in Palestina, nei territori occupati della Cisgiordania, arrivare a Gerusalemme è un’esperienza indimenticabile.
Ma andiamo con ordine. La mattina del 19 agosto, a Fiumicino, in partenza con la compagnia aerea di linea israeliana, scopriamo di avere un terminal dedicato cui si accede solo con un bus dell’aeroporto. È il terminal 5, da dove partono solo i voli diretti negli USA ed in Israele, e dove c’è la Security israeliana tutta per noi. Cominciano gli interrogatori ed i controlli. Le borse aperte e vuotate di tutto, le valigie private di lucchetto, “altrimenti non le imbarchiamo”. Procede tutto bene e ci sbrighiamo relativamente presto. Una frase dell’addetta alla Security mi rimbomberà in testa durante il volo : “Non prendete nulla dai Palestinesi, è successo che abbiano dato bombe ad ignari turisti”. Welcome to Israel!
Arriviamo al Ben Gurion, ci rilasciano il visto d’ingresso, senza ulteriori domande. Ci precipitiamo fuori e prendiamo il primo taxi, destinazione Gerusalemme Est.
Per quanto ci si possa guardare intorno, si capisce di essere a destinazione solo quando dinanzi agli occhi compare la maestosa ed incantevole Porta di Damasco, cui si accede da un’ampia gradinata…ho maledetto la mia incapacità di viaggiare con bagagli leggeri.
Entrati, ci troviamo nel suk della città vecchia, in un viavai di persone che urlano per vendere prodotti, compratori che contrattano, turisti, palestinesi e loro…i coloni, i nuovi signori di Gerusalemme, con i loro completini neri su camicia bianca, i loro cappelli o la kippah, i loro boccoletti ad entrambi i lati della testa…sono una nota stonata, anche solo visivamente…o forse son prevenuta.
Nel corso della settimana trascorsa in quella che è e sempre sarà la capitale della Palestina, visitiamo la chiesa del Santo Sepolcro, edificata sul luogo in cui Cristo sarebbe morto in croce, percorriamo la Via Crucis ( oggi Via Dolorosa ), fermandoci ad ogni stazione, in un’atmosfera che, anche chi come me non è credente, non può fare a meno di sentire suggestiva.
Vediamo le bandiere israeliane sventolare sui palazzi occupati dai coloni e/o dall’esercito israeliano, così come sulle abitazioni vendute ai coloni dagli stessi Palestinesi.
Decidiamo di andare anche alla Spianata delle Moschee, o Monte del Tempio, il cui accesso è controllato da uno dei tanti checkpoint attraverso i quali passeremo durante questo viaggio. Chiedono le borse, litigo con il soldato che stava aprendo la mia. “La apro io, se devi controllare”, e gli scaravento sul tavolo tanta di quella roba che si spazientisce e mi manda via.
Entriamo, finalmente, nella spianata…alle spalle, solo edifici israeliani, a godere di una vista mozzafiato. Osserviamo da lontano il muro del pianto e riti che non riusciamo a comprendere. Ancora un posto di controllo e siamo nell’Al Aqsa Compound. Pochi soldati, quel giorno, niente coloni e, soprattutto, nessun Palestinese, tranne pochi uomini anziani.
Le donne, come gli uomini al di sotto dei 50 anni, non possono accedere al Compound e quindi nemmeno alla loro moschea. Le avevamo viste fuori, mentre protestavano contro soldati armati fino ai denti, ed avevamo scattato fotografie e girato brevi video.
Il divieto d’ingresso dei Palestinesi in Al Aqsa, non è casuale e non è nemmeno solo una delle tante forme in cui l’occupazione si manifesta in Palestina. La realtà è che l’accesso viene negato perché un gruppo di ebrei, noto come i “Fedeli del Monte del Tempio” ha espresso il desiderio di riedificare l’antico tempio ebraico di Gerusalemme, distrutto dai romani nel 70 d. C., e di cui ora resta solo il Muro Occidentale ( Muro del Pianto ), sul sito dove ora sorgono Al Aqsa e la Cupola della Roccia, o Moschea di Omar. Hanno scavato un tunnel che, dal cuore della città vecchia spunta proprio sotto la moschea e si preparano a demolirla, non prima di essersene impossessati. La procedura dell’occupazione non cambia mai.
Chiediamo di visitare Al Aqsa, ci rispondono: “Only muslim”. Quindi, turisti musulmani ma non Palestinesi.
All’uscita troviamo ancora le donne in subbuglio, mentre i coloni deviano per stradine secondarie, pur di non passare dinanzi ai Palestinesi inferociti. Li vedremo per tutta la settimana passare a testa china, rasenti ai muri, quasi di corsa, forse per motivi religiosi, io preferisco pensare per vigliaccheria. Restiamo ancora un po’ a guardare le donne che cantano e non arretrano, ma nemmeno entrano, provando quel senso di sconfitta che non ci abbandonerà mai durante tutto il viaggio, ma anche quella determinazione, quella dignità, quella fierezza di chi non molla perché sa di essere nel giusto.
Welcome to Palestine!