A Ramadi e Palmira tutto pronto per la battaglia contro l’ISIS


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Mentre l’amministrazione Obama si interroga su un possibile cambio di strategia nella lotta all’Isis, a partire da aiuti militari più massicci nei confronti di sunniti e peshmerga, sul campo si preparano le controffensive per riconquistare le due città simbolo cadute negli ultimi giorni nelle mani dei militanti dello stato islamico: Palmira in Siria, e Ramadi in Iraq. L’esercito di Damasco ha dispiegato le sue truppe vicino all’antica città patrimonio dell’Unesco ed è pronto a sferrare l’attacco. Le notizie che arrivano da Palmira sono terrificanti, con esecuzioni di massa da parte dei jihadisti che non risparmiano nemmeno i bambini. Le forze di Assad ha incassato un maggiore impegno da parte del leader di Hezbollah che ha promesso un maggior coinvolgimento al fianco dell’esercito regolare siriano.

LA BATTAGLIA DI RAMADI – Sul fronte iracheno, ugualmente, le forze regolari di Baghdad si sono radunate a circa 25 chilometri da Ramadi anche loro in attesa di sferrare il contrattacco, con l’obiettivo di riprendere in pochi giorni – come assicurato dal premier al Abadi – la città. Città che intanto è sotto il fuoco dei raid aerei della coalizione guidata dagli Usa e dalla quale – secondo le Nazioni Unite – sono almeno 55 mila le persone in fuga, la maggior parte verso Baghdad. In campo il personale di varie agenzie Onu che sta cercando il più possibile di dare sostegno alle circa 9 mila famiglie in marcia.

ARABI E OCCIDENTALI RESPONSABILI CADUTA PALMIRA –  Nel frattempo la Siria ha ribadito che la responsabilità della caduta di Palmira nelle mani dell’Isis e le atrocità commesse in questa città sono da addossare ai Paesi che «sostengono le organizzazioni terroristiche», tra i quali Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Israele e «alcuni Paesi occidentali». È quanto si legge in una lettera inviata dal ministero degli Esteri di Damasco al Consiglio di Sicurezza e al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Tra i gruppi terroristi, la Siria inserisce anche l’Esercito libero siriano (Els). Oltre all’Isis e all’Esl, Damasco cita anche il Fronte al Nusra, la branca siriana di Al Qaida. Un «sostegno generoso», si legge nella missiva, citata dall’agenzia governativa Sana, è «fornito a queste organizzazioni terroriste da regimi regionali e internazionali, con la collusione e la falsa ignoranza degli Stati occidentali». Il ministero degli Esteri chiede quindi alle Nazioni Unite di adottare «le necessarie misure deterrenti contro le organizzazioni terroriste e gli Stati che le sponsorizzano e le sostengono».

RAID DELLA COALIZIONE – Nelle ultime ore si sono intensificati i raid aerei delle forze della coalizione guidata dagli Usa sia in Siria che in Iraq: i bombardamenti sono stati circa 18 in meno di 24 ore tra sabato e domenica, come ha riferito il Dipartimento della stato americano. In particolare sulle roccaforti e le postazioni dell’Isis in Siria gli attacchi aerei sono stati 11: per nove volte le forze della coalizione hanno colpito la zona di Hasakah, nel nordest del Paese, distruggendo postazioni di combattimento e veicoli. Due altri raid sono stati effettuati su Kobane. In Iraq invece gli attacchi aerei sono stati 17, portati a termine con l’approvazione del ministero della Difesa iracheno, tra questi sono stati quattro i raid contro Ramadi, altrettanti contro Mosul.

TENSIONI TRA USA E IRAQ – A creare tensione nelle ultime ore sono state le parole del capo del pentagono Ash Carter, che ha accusato le forze irachene di non aver dimostrato la volontà necessaria per difendere Ramadi. Affermazioni che hanno scatenato la reazione non solo del governo di Baghdad, ma anche di Teheran. Il portavoce del governo iracheno ha parlato di «informazioni sbagliate» in mano all’amministrazione Obama, pur ammettendo che l’esercito si è ritirato da Ramadi contrariamente agli ordini da lui stesso impartiti di resistere all’avanzata dello Stato islamico. «Le motivazioni sono al centro di un’inchiesta, e i responsabili saranno puniti», ha assicurato. Da Teheran si è invece fatto sentire il generale Qassem Soleimani, capo dell’unità d’elite Quds della Guardia Rivoluzionaria, che ha accusato gli Stati Uniti di non avere «alcuna volontà» di fermare l’Isis dopo la caduta della città irachena di Ramadi. 

 

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