Stanche dei continui paragoni tra il loro sistema giudiziario e quello del sedicente Stato islamico (Is), le autorità saudite hanno deciso che va processato chiunque ne parli. Così, secondo il quotidiano filo-governativo locale al-Riyadh, il ministero della Giustizia ha deciso di citare in giudizio un utente di Twitter che, a proposito della recente condanna a morte per apostasia del poeta di origine palestinese Ashraf Fayadh, ha scritto che si tratta di una sanzione «in stile Daesh», usando l’acronimo arabo dell’Is. «
Mettere in discussione la correttezza della sentenza di un tribunale – ha affermato una fonte anonima del ministero della Giustizia – vuol dire mettere in discussione la giustizia e il sistema giudiziario del regno, che si basano sulla legge islamica, che garantisce i diritti e la dignità umana». Per questo, secondo la fonte, il ministero farà causa a «qualunque mezzo di informazione che accusa la magistratura religiosa del regno».
Nel 2015, 151 condanne a morte sono state eseguite in Arabia Saudita, quasi il doppio delle 88 di tutto il 2014. Lo scorso gennaio, Middle East Eye ha pubblicato uno studio da cui emerge che il codice penale saudita coincide in gran parte con quello dell’Is. Anche esso prevede la condanna a morte per blasfemia, omosessualità, tradimento e omicidio, la lapidazione per gli adulteri sposati, le frustate per quelli non sposati e il taglio degli arti per furti e rapine. Parlando a Nbc News all’inizio dell’anno, il portavoce del ministero saudita degli Interni, generale Mansour al-Turki, ha affermato che l’Is, non essendo uno Stato, «non ha alcuna legittimazione a decidere di uccidere la gente. In questo senso, la differenza (con l’Arabia Saudita, ndr) è chiara».