Indossano uniformi improvvisate, si addestrano in una fattoria abbandonata dove si allevavano polli, hanno armi datate agli anni Cinquanta, ma hanno un grande sogno: riconquistare la città di Sinjar, nel nord dell’Iraq, dall’agosto del 2014 sotto il controllo del sedicente Stato Islamico (Is). Si tratta di qualche decina di volontari yazidi, che fanno parte degli appartenenti alla minoranza curda fuggiti dall’avanza dell’Is. Tra i due e i cinquemila sono gli yazidi uccisi dai jihadisti, centinaia le donne e le ragazze ridotte a schiave del sesso. Alcuni di questi volontari hanno perso i loro parenti, altri hanno familiari in mano all’Is sul monte Sinjar. A comandare i volontari nel villaggio di Hardan, nell’Iraq settentrionale, è Kheiru Khalaf, 66 anni, che chiede tramite la Cnn «sostegno internazionale e armi pesanti. Confrontiamo l’Is con nient’altro che mitragliatrici. Affrontiamo un grande nemico, abbiamo bisogno di aiuto». Il campo di addestramento, che si trova tra Sinjar e Tal Afar, viene colpito spesso dall’Is con colpi di mortaio.
Secondo i peshmerga, che hanno arruolato circa cinquemila yazidi, a Sinjar ci sono ancora circa 300 jihadisti dell’Is, decisi a rimanervi fino alla morte. I combattenti curdi ritengono anche che nella zona siano state collocate centinaia di mine e trappole esplosive. Sinjar ha una posizione strategica e risulta un obiettivo importante nella lotta all’Is in quanto si trova tra Mosul, roccaforte dei jihadisti in Iraq, e il territorio siriano sotto il loro controllo. Prendere il controllo di Sinjar equivarrebbe quindi a rendere più difficile i collegamenti e i rifornimenti a Mosul, dividendo in due l’autoproclamato ‘califfatò. Dotati di armi antiquate, come un razzo prodotto in Yugoslavia nel 1957, gli yazidi possono però contare su qualche aiuto volontario dall’esterno. La Cnn cita un cinquantenne inglese, Mike, che ha servito nella Legione Straniera o un ex soldato californiano, Michael Ibrahim, che ha combattuto in Iraq. «Queste persone stanno combattendo per salvare famiglie ed evitare che la loro patria diventi un inferno. Mi sono arrivati al cuore, sono dovuto venire qui», racconta Ibrahim alla Cnn.
E mentre gli uomini yazidi si preparano a riconquistare Sinjar, centinaia di donne e di bambini vivono stipati in tende sulle montagne cercando di proteggersi dalla piogge con teli. «In montagna fa molto freddo, qui non c’è niente», dice alla Cnn Buha Sabri, una donna di 30 anni con nove figlie. Sua sorella e sua nipote sono state catturate dall’Is, e il suo timore è che ora le sue figlie, fuggite ai jihadisti, possano morire di freddo. «Vogliamo tornare a casa a Sinjar. Il pensiero di tornare a casa ci rende felici, ma il pensiero va alle nostre ragazze – aggiunge – Dove sono? Sono state portate via? Sono state rapite?». Attraverso i secoli, gli yazidi sono stati più volte perseguitati. «Siamo stati massacrati 75 volte – dice Khalaf – Un tempo eravamo 48 milioni di persone, oggi siamo un milione».