(Alessandro Aramu) – Come già era accaduto in precedenza con le rivoluzioni in nord Africa, anche nel conflitto siriano la maggior emittente televisiva del Qatar, al-Jazeera, ha condotto un’attenta strategia manipolatoria delle notizie e delle informazioni. Non è azzardato dire che essa sia, ad esempio, la principale responsabile “del muro di menzogne” costruito nella guerra in Libia. Dopo aver dato per morto Gheddafi almeno una dozzina di volte, l’emittente satellitare araba ha caratterizzato i suoi reportage per una serie di notizie puntualmente smentite o verificate come inesatte; si pensi alle false fosse comuni e agli oltre 1000 morti annunciati nella prima settimana di proteste.
Falsi scoop costruiti ad arte per giustificare l’operato delle principali potenze occidentali che di lì a poco avrebbero messo le mani sul paese africano. Al-Jazeera non ha reso un servizio all’informazione e alla verità ma a quei Governi che in tutti i modi (non solo con i raid aerei e l’uso delle bombe) hanno cercato di abbattere il Colonnello Gheddafi che per quarant’anni, con un regime dispotico e durissimo, ha oppresso il suo popolo.
Nel seguire con attenzione le rivoluzioni nel mondo arabo, l’emittente del Qatar è andata ben oltre il suo ruolo. In un caso, come quello libico, ha manifestato il volto di una Tv asservita a interessi che nulla avevano a che fare con l’informazione. In Egitto e Tunisia il comportamento è stato diverso ma ha comunque giocato un ruolo chiave. Nei giorni della protesta in piazza Tahrir, al Cairo, c’era un maxischermo che mandava in onda 24 ore su 24 le immagini di al-Jazeera araba. Un caso unico nella storia delle rivoluzioni mondiali, come se informazione e protesta di popolo si alimentassero a vicenda, quasi si nutrissero l’una dell’altra, in un circuito “mediatico-politico” assai pericoloso e per niente neutrale rispetto agli accadimenti in corso. La capacità dell’emittente di influenzare gli eventi e il taglio con cui spesso ha presentato i fatti ha attribuito a questa controversa realtà televisiva un ruolo cruciale nell’evoluzione della Primavera Araba.
Non si può non riconoscere ad al-Jazeera il merito di aver trasformato il panorama dei media arabi, dominato inizialmente da strumenti di propaganda, affermandosi negli anni come leader in Medio Oriente nel campo dell’informazione e coprendo con i suoi inviati eventi in tutto il mondo.
Al-Jaazera continua a essere una fonte per le testate giornalistiche dei vari paesi, Italia compresa. Ciò che trasmette l’emittente satellitare del Qatar, rimbalza automaticamentesulle pagine dei quotidiani o sugli schermi delle televisioni italiane, spesso senza nessuna ulteriore verifica rispetto a quanto viene trasmesso in altre parti del mondo.
Un esempio di come si costruisce una notizia è questo: un qualunque gruppo armato uccide dei civili inermi, li riprende con una telecamera, li fotografa, invia le immagini alle televisioni con una nota (“civili massacrati in tale luogo dall’esercito regolare o da miliziani vicini al regime”). A quel punto l’emittente, ben sapendo che bisogna dare sostegno agli insorti e che l’obiettivo è, costi quel che costi, la caduta del dittatore di turno, fa il lavoro sporco e, attraverso i propri schermi, rilancia le fotografie e i video del nuovo massacro nei confronti della popolazione civile, spesso con immagini di bambini martoriati e di donne urlanti di dolore.
Nel giro di qualche ora quella notizia, la cui fonte non è stata mai verificata, perché non vi è alcun interesse a farlo, fa il giro del mondo, viene rilanciata da tutte le più importanti agenzie di stampa, inonda le redazioni, finisce sulle prime pagine dei quotidiani internazionali, entra a pieno diritto nei notiziari come “un nuovo crimine” da denunciare all’umanità e campeggia in bella vista in migliaia di blog e siti attivi su Internet. Così, senza alcun lavoro giornalistico e senza alcuna ulteriore attività sull’autenticità dei fatti raccontati, si rafforza nell’opinione pubblica il convincimento che il terrore arrivi da una sola parte e mai dall’altra. Un’informazione a senso unico. Come se si decidesse di raccontare una partita di calcio parlando soltanto di una squadra, senza citare mai gli avversari; come se in campo scendessero solo undici uomini, senza arbitro, guardalinee, pubblico e con un solo giornalista a raccontare i 90 minuti di gioco.
È accaduto prima in Libia, come è stato abbondantemente documentato, e accade da anni in Siria. È il modello al-Jazeera: raccontare gli eventi non per come sono ma per come bisogna mostrarli all’esterno. È la fabbrica delle bugie, della mistificazione, delle notizie di plastica, spesso sporche di sangue e di dolore.
Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014).
(twitter@AleAramu)